Il ministro degli esteri britannico, Philip Ammond lo riassume con una frase: “Non si può fare una omelette senza rompere le uova”. Lo stesso per il pacchetto di sanzioni economiche che l’Ue ha deciso di mettere in campo contro la Russia: non si può pensare di colpire Mosca, senza sacrificare qualcosa anche in casa europea. Già, ma quante uova occorrerà rompere? I tecnici dell’Unione europea rifiutano di fare numeri. “Se le contromisure russe saranno simmetriche, non dovrebbero avere un impatto significativo sull’Europa”, si limitano ad assicurare fonti Ue, ammettendo anche: se invece “le eventuali contromisure fossero asimmetriche, è difficile prevederne l’effetto”.
Certo è che gli interessi in gioco sono elevatissimi: nel 2013 i Paesi Ue hanno esportato in Russia, secondo i dati Eurostat, merci per un valore complessivo di 120 miliardi di euro e i primi esportatori sono stati Germania e Italia, guarda caso due dei Paesi più cauti a procedere con le sanzioni. L’ann scorso l’interscambio tra Ue e Mosca ammontava a 440 miliardi di euro (contro i 26 miliardi di quello tra Russia e Usa).
Secondo Eu Observer (ma le cifre non sono confermate ufficialmente), il contraccolpo delle misure contro la Russia sull’Europa potrebbe valere 40 miliardi di euro (e cioè lo 0,3% del Pil) quest’anno e 50 miliardi nel 2015 (lo 0,4% del Pil) per effetto di bandi commerciali che la Russia potrebbe mettere in campo come rappresaglia. Secondo le stesse stime, la Russia potrebbe essere invece colpita per 23 miliardi quest’anno (l’1,5% del suo Pil) e per 75 miliardi nel 2015 (il 4,8% del Pil). L’Economist, nel frattempo ha calcolato che le perdite per le imprese russe alle prese con le sanzioni potrebbero arrivare fino a 744 miliardi di euro.
Per il momento l’Ue si limita a stimare l’impatto sulla Russia di alcune singole misure, come lo stop all’export di tecnologie sensibili utili alla Russia per il settore petrolifero (in particolare per trivellazioni in acque profonde, l’esplorazione artica ed il petrolio di scisto): in questo specifico campo, fonti Ue calcolano che l’impatto potrebbe ammontare a 150 milioni di euro all’anno. Le restrizioni all’export di tecnologie “dual use” avrebbero potuto pesare per 20 miliardi se avessero riguardato sia il settore civile che militare, così come inizialmente chiesto dalla Commissione europea, ma la cifra è da rivedere al ribasso, visto che il campo è stato ristretto al solo settore militare. L’embargo sulle armi colpisce invece un mercato che vale 3.2 miliardi di import e 300 milioni di export dall’Ue verso Mosca. Misure che potrebbero complicare non poco la vita alla Russia che già dall’inizio dell’anno, a causa delle tensioni create dalla crisi ucraina, ha visto fuggire dal Paese 75 miliardi di dollari di capitali stranieri.
Ma se la Russia ha di che preoccuparsi, le imprese europee non dormono sonni tranquilli. Alcune hanno già manifestato apertamente la preoccupazione. È il caso di British Petroleum, il colosso petrolifero britannico che ha già sottolineato l’impatto negativo che avranno le sanzioni sui propri conti. Con una quota pari quasi al 20% nel gigante statale russo Rosneft, l’azienda britannica è uno dei più grandi investitori stranieri della Russia. Preoccupazioni tutt’altro che isolate: la società petrolchimica francese Technip ha già tagliato le previsioni di profitto per l’anno in corso e per il 2015, citando il possibile impatto derivante dalle sanzioni imposte sulla Russia, mentre Renault lamenta il calo delle vendite sull’incerto mercato automobilistico russo. L’associazione del business europeo (Aeb), che riunisce circa 600 compagnie che fanno affari in e con la Russia lo dice apertamente: “Abbiamo accolto con dispiacere il varo delle nuove sanzioni”, spiega un comunicato, perché “non solo colpiranno l’economia russa ma limiteranno la crescita sia dell’Ue che dell’Ucraina”.