Bisogna riconoscere che ha avuto coraggio Matteo Renzi a dire in un’intervista a Alan Friedman: “Che la crescita sia 0.4 o 0.8 o 1.5 non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone”. Ha fatto bene o male Renzi a fare una simile osservazione? È vero quello che dice, e che cioè un Pil più alto di 15 o 16 miliardi l’anno non fa nessuna differenza per i cittadini?
La risposta è ni. È vero che dal punto di vista della politica e della comunicazione un punto in meno o in più del Pil non fa molta differenza e che il Pil, come vedremo, è ormai un indicatore che non si capisce più bene cosa sia. Ma resta il fatto che è sul valore del Pil – che in economia è un flusso, cioè tutto il reddito che gli italiani guadagnano in un anno – che si giudicano le performance dei paesi. Tutti i paesi europei, ad esempio, debbono per forza di cose tenere sotto controllo il rapporto tra debito pubblico e Pil. L’Italia si è impegnata con un trattato, il Fiscal Compact, a ridurlo dall’oltre 130% di oggi al 60% in vent’anni. Se il Pil quest’anno crescesse dello 0.8%, invece dello 0.2%, come sembra probabile, il rapporto comincerebbe a stabilizzarsi invece di continuare a salire, come sta facendo ora. E Renzi avrebbe qualche chance in più in Europa.
Ma, al di là di questo, per le aziende che operano sul mercato il fatto che il reddito sia di 10-15 miliardi superiore a quello dell’anno precedente fa una differenza eccome! Anzi, in alcuni minuscoli ma importanti settori economici, come il mercato del libro – che vale poco, più o meno un miliardo di euro, e che nei primi sei mesi dell’anno ha registrato un -6% rispetto al 2013 (e che dal 2011 ha perso circa il 20%) – qualche lira (o meglio euro) in più o in meno fa una bella differenza, considerato che la spesa in libri sembra essere una spesa residuale, cioè li compro dopo aver soddisfatto altre esigenze più immediate. E, a giudicare dai dati di giugno e luglio, non sembra che i famosi ottanta euro in più in busta paga abbiano fatto alcuna differenza. Il rimbalzo sui consumi – non solo di libri – sembra che non ci sia ancora stato.
Detto questo, è anche vero che ha ragione Renzi a non prendere troppo sul serio i dati del Prodotto interno lordo, il cosiddetto Pil. Sulla determinazione del suo valore influiscono elementi vari che dovrebbero essere ben valutati. Il servizio “taglio di capelli” rientra nella determinazione del Pil. Ora, supponiamo che vi siano due paesi con eguale numero di barbieri e abitanti. In uno il taglio costa cinque euro e in un altro venti. Nel primo il contributo dell’haircut al Pil sarebbe di 250 milioni; nell’altro, a parità si suppone di servizio, varrebbe un miliardo.
Molti si sono sorpresi ad aprile quando gli economisti e gli esperti di statistica della Banca mondiale hanno detto che sul Pil della Cina si erano sbagliati in passato, che esso è ben più alto di quello che avevano stimato e che la Cina avrebbe sorpassato l’economia americana come la più grande del mondo molto prima del previsto, anzi avrebbe fatto il sorpasso già quest’anno. Il motivo? I prezzi di molti beni e servizi, compreso il taglio di capelli, erano stati stimati più alti di quanto non fossero e quindi era stato sottostimato il potere d’acquisto del popolo cinese e quindi la dimensione della sua economia. Naturalmente, il popolo cinese non sa nulla dei calcoli degli economisti della Banca mondiale e soprattutto non gliene importa niente. Da questo punto di vista Renzi ha le sue ragioni. Come molti ricordano, l’economia italiana sotto Craxi faceva un sorpasso dopo l’altro. Ricordiamo che nel 1990 il ministro socialista Gianni De Michelis annunciò in pubblico che l’economia italiana, dopo aver superato quella della Gran Bretagna, stava per superare persino quella francese. Molti di questi sorpassi erano dovuti alla grande capacità del capo di allora dell’Istat, un socialista, che era riuscito a farsi avallare dalla comunità internazionale continue rivalutazioni del nostro Pil per prendere in considerazione l’economia sommersa. Anche oggi, se inserissimo ad esempio la prostituzione nei conteggi del Pil, l’economia italiana farebbe probabilmente un enorme balzo in avanti. Consigliamo tra l’altro a Renzi questo aggiustamento, che avrebbe subito un impatto positivo: il rapporto debito pubblico/Pil scenderebbe di qualche punto.
Insomma, il punto che vogliamo fare è che il Pil, al centro di tutte le valutazioni economiche che si fanno a livello internazionale sui singoli paesi, non è altro che una “convenzione statistica”, una costruzione artificiale. Non c’è nulla di scientifico nel calcolarlo. Non si tratta di calcolare il diametro della terra. Somiglia di più a un atto dell’immaginazione umana. D’altra parte la nozione di Pil non esisteva fino a qualche decennio fa. I primi dati di contabilità nazionale furono prodotti per la prima volta negli Stati Uniti nel 1942. Persino Simon Kuznets, l’economista che inventò il concetto di Pil, per conto del Presidente Franklin Delano Roosevelt che voleva capire meglio lo stato dell’economia americana dopo il crollo del 1929, aveva molte riserve sul suo conto. Che cosa andava misurato nell’economia? La produzione di armamenti, ad esempio, avrebbe dovuto essere inclusa? Il missile che ha abbattuto il volo della Malaysian Airlines sui cieli dell’Ucraina, ad esempio, ha contribuito al Pil russo, ammesso che esso fosse di produzione russa. Ma siamo sicuri che il benessere e la felicità degli esseri umani sia superiore perché abbiamo prodotto 1,000 missili invece di 100? Kuznets stesso aveva molti dubbi se questo genere di attività dovesse essere incluso, come poi è stato fatto, nel calcolo del Pil. Come aveva dubbi se nel Pil dovessero entrare le spese pubblicitarie, cioè l’advertising, i servizi finanziari speculativi, e altre poste.
Insomma, da un punto di vista etico il Pil è amorale. Esso definisce in sostanza il valore monetario di tutto quello che è stato prodotto in un determinato periodo. Se un giorno la produzione di eroina dovesse essere legalizzata, il valore della sua produzione entrerebbe nei calcoli del Pil.
C’è poi da considerare che il Pil è un flusso. La cattiva qualità delle infrastrutture non rientra nel suo calcolo. Il fatto che si stia ancora lavorando alla Salerno-Reggio Calabria non incide sul Pil più di tanto. E la bellezza che ammiriamo da una finestra o da un terrazzo non rientra nei calcoli. La Cina supererà quest’anno l’economia degli Stati Uniti e sotto tutti i punti degli indicatori economici è un grande campione. Naturalmente, l’inquinamento dell’aria a Pechino, e la qualità della vita in quelle condizioni, non vengono minimamente presi in considerazione.