Di recente il sito dell’istituto Bruegel ha ospitato un interessante dibattito sul programma OMT (Outright Monetary Transactions) attivato dalla Bce nel 2012. Come si ricorderà, il piano – che prevede l’acquisto illimitato di titoli di stato dalla parte della Bce a favore di paesi sotto attacco speculativo o comunque a rischio di instabilità – fu un tentativo di frenare la speculazione dei mercati finanziari contro i paesi della periferia (Italia compresa), i cui bond avevano raggiunto tassi d’interesse insostenibili. È bastato che Draghi pronunciasse il suo famoso discorso del 26 luglio di due anni fa – “All’interno del nostro mandato, la Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà sufficiente”, promise il presidente della Bce – per stabilizzare immediatamente i tassi dei bond periferici, senza che la banca centrale comprasse un singolo titolo di stato. In sostanza, è come se Draghi avesse detto agli speculatori: “Il gioco è finito: da oggi in poi se il tasso d’interesse di un certo paese sale oltre un certo limite, interverrà la Bce comprando i titoli al posto vostro”. Dal punto di vista della salvaguardia dell’integrità finanziaria e politica dell’eurozona, il piano OMT – pur non essendo mai stato effettivamente implementato – è stato indubbiamente un successo, mettendo il freno a una furia speculativa che rischiava di far rapidamente implodere l’unione monetaria. Non a caso l’intervento di Draghi è noto come “il discorso che ha salvato l’euro”.
Oggi però sul futuro del programma OMT pende una spada di Damocle: il pronunciamento da parte della Corte di giustizia europea sulla conformità legale o meno del programma ai trattati europei, in seguito alla dura “bocciatura”, a inizio 2014, da parte della Corte costituzionale tedesca, che ha accusato il piano di Draghi di violare la costituzione tedesca, di privare la Repubblica federale della sovranità fiscale e di mettere a rischio i piani di salvataggio messi in campo finora, scegliendo però di rinviare il verdetto finale alla Corte europea. In un recente paper pubblicato dal Bruegel, Ashoka Mody analizza le critiche sollevate dalla corte tedesca, su cui si dovrà pronunciare la Corte di giustizia europea, e le possibili implicazioni per il futuro dell’eurozona. Secondo Mody, “il programma OMT si è rivelato uno strumento politico-pragmatico utile per disinnescare la bomba dell’euro-crisi. Ma non ha risolto il problema della fondamentale incompletezza dell’unione monetaria europea, sbiadendo i confini tra politica monetaria e politica fiscale. Nel breve termine questo ha funzionato, ma permangono ancora molti rischi politici ed economici”. In questo senso, Mody – a differenza della maggior parte dei commentatori (soprattutto quelli di ispirazione “europeista”), che ha duramente criticato la sentenza della corte tedesca per aver messo in discussione uno strumento che finora si è rivelato cruciale per la sopravvivenza dell’eurozona – giudica positivamente l’azione della corte di Karlsruhe, e la sua decisione di rimandare il verdetto alla corte europea, poiché questo “sta costringendo l’Europa a riflettere sulle riforme necessarie per ottenere una soluzione politica ed economica più durevole”.
Mody parte dal presupposto che una riscrittura del contratto politico – che doti l’eurozona di un qualche tipo di unione fiscale e trasformi la Bce in una vera prestatrice di ultima istanza – è inevitabile per la sopravvivenza dell’eurozona, e che soluzioni “emergenziali”, ad hoc e calate dall’alto, come l’OMT, non sono sufficienti. Il problema è che quei due punti – trasferimenti fiscali tra stati e diritto della Bce di intervenire sui mercati sovrani – sono esattamente quelli contro cui si scaglia la corte tedesca, e più in generale l’establishment politico-monetario tedesco. Su questo punto c’è da dire che, se è vero che il programma OMT rappresenta un passo avanti rispetto al mandato della Bce, che vieta l’acquisto di titoli di stato senza se e senza ma, essa è lungi dal trasformare la Banca centrale europea in una “normale” prestatrice di ultima istanza; se la Merkel ha offerto il suo sostegno alla proposta di Draghi (in contrasto con Jens Weidmann, il “falco” della Bundesbank), infatti, è proprio perché la partecipazione a un programma OMT prevede l’adesione da parte del paese in questione a un rigido programma di austerità fiscale e alle famigerate conditionalities della troika (liberalizzazione del mercato del mercato del lavoro, privatizzazione degli asset statali, compressione dei salari, ecc.), all’interno della cornice del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Anche in presenza di condizioni così stringenti, però – sostiene la corte tedesca – il programma rappresenterebbe comunque una violazione del famigerato articolo 123 del Trattato di Maastricht, che vieta alla Bce di “stampare” soldi per finanziare i governi (acquistando titoli di stato) e/o ridurre i tassi di interesse che questi pagano sul debito pubblico.
In sostanza, come già detto, l’OMT sbiadirebbe il confine tra politiche monetarie e politiche fiscali. Secondo la logica di Maastricht, solo la rigida disciplina dei mercati finanziari, ulteriormente rafforzata da stringenti regole di bilancio (tetto massimo deficit/Pil del 3%, ulteriormente ridotto poi tramite il Fiscal Compact), avrebbe costretto gli stati membri a rigare dritto; in questo senso, l’OMT rappresenterebbe un incentivo per i paesi più indisciplinati ad abbandonare la retta via delle riforme strutturali. Inoltre, secondo la logica della corte (che riprende la logica alla base del Trattato di Maastricht), acquistando i titoli di un certo paese la Bce esporrebbe gli altri paesi al rischio di “perdite” nel caso in cui il paese in questione decidesse di non rimborsare il debito o addirittura di uscire dall’euro; se ciò accadesse – sempre secondo l’argomentazione della corte – la Bce si vedrebbe spazzato via il suo capitale netto, costringendo i governi dei paesi membri a utilizzare il denaro dei contribuenti per ricapitalizzare la Bce.
I sostenitori dell’OMT, a partire dalla Bce, replicano che il programma si limita a fare politica monetaria: ossia a garantire il funzionamento del cosiddetto “meccanismo di trasmissione monetaria” e più in generale la stabilità finanziaria dell’eurozona, come da mandato della banca centrale, placando il panico generato sui mercati dalla paura che uno stato possa fare default o uscire dall’euro. Inoltre, sempre secondo i suoi difensori, l’OMT non può essere accusato di sostenere politiche fiscali “irresponsabili” in quanto il programma di acquisto titoli è condizionato all’adesione a severissimi vincoli di bilancio (oltre a quelli già esistenti) e alle sopracitate conditionalities. A sua volta, però, questo rappresenta un ulteriore problema agli occhi della Corte costituzionale tedesca, in quanto è la dimostrazione che per mezzo dell’OMT la Bce si arroga di fatto il diritto di decidere le politiche “economiche” – e non solo quelle “monetarie”, come da mandato – degli stati membri.
Chi ha ragione? In un certo senso, entrambe le parti. Come nota Mody, da un punto di vista puramente formale, è indubbio che l’OMT rappresenti in effetti una violazione dell’articolo 123; su questo punto è difficile dare torto alla corte di Karlsruhe. E per quanto riguarda il giudizio “politico” della corte? Prendiamo l’accusa secondo cui l’OMT sbiadirebbe il confine tra politiche monetarie e politiche fiscali: ora, in un certo senso è vero, ma solo perché nei moderni sistemi monetari le due forme di politica sono sempre correlate, in quanto le politiche monetarie non convenzionali che hanno come obiettivo l’espansione della base monetaria – come quelle perseguite in seguito alla crisi dalle banche centrali degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Giappone – si attuano (ovunque eccetto che nell’eurozona) anche per mezzo dell’acquisto di titoli di stato. In questo senso, se anche la corte avesse ragione, non si tratterebbe di altro che della tardiva – e benvenuta! – trasformazione della Bce in una “normale” banca centrale (è utile ricordare per l’ennesima volta che la Bce è l’unica banca centrale al mondo che ha il divieto di acquistare titoli di stato).
Purtroppo così non è. Negli altri paesi, quando una banca centrale compra titoli di stato come strumento di politica monetaria, questo ha automaticamente un effetto “fiscale”, in quanto l’abbassamento dei tassi di interesse facilita il perseguimento di politiche fiscali espansive da parte del governo in questione. Questo non vuol dire necessariamente che le autorità fiscali e monetarie del paese decidano insieme le politiche da perseguire, o che le banche centrali prendano ordini dai vari ministeri del Tesoro (anche se in seguito alla crisi l’impressione è che nei grandi paesi occidentali, eurozona esclusa, sia sempre più così, in barba alla cosiddetta “indipendenza” delle banche centrali); vuol dire semplicemente che negli altri paesi tenere giù i tassi di interesse sui titoli sovrani è considerata una prassi normale e non un “regalo” fatto al governo, e che le decisioni di politica monetaria sono legate a variabili economiche (tasso di inflazione, livello di disoccupazione, ecc.), non politiche e/o fiscali (rispetto di un certo rapporto deficit/Pil, implementazione di riforme strutturali, ecc.), come nell’eurozona. In questo senso fa bene la corte tedesca a sottolineare che in base ai trattati la Bce non ha nessun diritto di decidere le politiche economiche degli stati membri.
In definitiva, l’OMT non cambia la natura anomala della Bce: legando l’acquisto di bond all’implementazione di misure di austerity – l’esatto opposto delle politiche espansive che le operazioni di quantitative easing messe in campo altrove hanno permesso agli altri paesi –, esso difficilmente può considerarsi uno strumento di politica fiscale. In questo la corte sbaglia (purtroppo). Per quanto riguarda invece l’accusa secondo cui il programma OMT esporrebbe i contribuenti tedeschi al rischio di “perdite” se i governi i cui titoli vengono acquistati fanno default, si tratta di un errore concettuale che nasce da un’errata interpretazione di come funzionano le banche centrali. Come ha giustamente spiegato Paul De Grauwe in un recente articolo:
Una banca centrale non può andare in default fintanto che ha il monopolio del potere di emettere moneta. Il denaro è il “debito” della banca centrale, ma la banca centrale può riscattare questo “debito” mediante l’emissione di denaro fresco, cioè trasformando una vecchia banconota in una nuova. Queste banconote non costituiscono un credito sui beni della banca centrale. Quindi la banca centrale non ha bisogno di capitale (a differenza delle aziende private). Può vivere perfettamente con capitale netto negativo.
In conclusione, possiamo dire che l’OMT è stato senz’altro necessario per stabilizzare l’euro. Ma è lungi dall’essere quello di cui avrebbe bisogno l’eurozona. In questo senso, è giusto avere un atteggiamento critico nei confronti del programma così com’è attualmente concepito e in particolare del fatto che esso risulta saldamente ancorato al paradigma dell’austerità. Ma una bocciatura da parte della Corte di giustizia europea rappresenterebbe un pericoloso passo indietro. Possiamo solo sperare che l’OMT sia invece il primo passo verso una reale unione economica e monetaria con una reale capacità fiscale e monetaria. Ma la strada da fare è ancora lunga.