L’obiettivo è chiaro: “Un sistema di immigrazione che metta la Gran Bretagna al primo posto”. Con questa intenzione dichiarata il premier britannico David Cameron, ricomincia la guerra contro i presunti abusi degli immigrati provenienti dall’Ue ai danni del sistema di welfare del Paese. Una guerra fatta di strette concrete, che il primo ministro ha anticipato in un intervento sul Telegraph, ma che presto si dovrebbero tradurre in legge. Per prima cosa, spiega Cameron, occorre “assicurarsi che le persone vengano per le giuste ragioni”. Come? Per prima cosa dimezzando da sei a tre mesi il periodo in cui i cittadini Ue potranno chiedere sussidi di disoccupazione e altri benefit, ad esempio per i figli a carico, a meno che non abbiano concrete prospettive di trovare un nuovo impiego in Gran Bretagna. Il messaggio da trasmettere “molto chiaramente”, sottolinea Cameron è: “Non ci si può aspettare di venire in Gran Bretagna e ottenere qualcosa in cambio di nulla”.
Il premier britannico promette anche di rafforzare la lotta contro gli abusi, primi tra tutti quelli commessi da chi ottiene il visto come studente, iscrivendosi a collegi fasulli: “In uno di questi – spiega ad esempio Cameron – gli ispettori non hanno trovato nemmeno uno studente”. Contro casi simili “abbiamo iniziato un’azione radicale, chiudendone oltre 750”, spiega il capo del governo, annunciando però un ulteriore giro di vite sulle licenze.
Stop anche alla ricerca di manodopera a basso costo fuori dalla Gran Bretagna: alcune agenzie di recruitment, lamenta Cameron, cercano personale direttamente in altri Paesi dell’Ue, senza nemmeno lasciare la possibilità ai britannici di candidarsi. Atteggiamenti come questi saranno ora messi al bando ma saranno anche dimezzati (da oltre un milione a 500 mila) il numero di posti vacanti in Gran Bretagna pubblicizzati nel resto d’Europa tramite i siti di collocamento.
La nuova stretta contro l’immigrazione europea, già da un po’ finita nel mirino di David Cameron anche sotto la spinta del successo del partito euroscettico Ukip che proprio della lotta all’immigrazione ha fatto la sua bandiera, non passa inosservata all’Ue che prontamente ricorda: “La libera circolazione dei lavoratori è uno dei principi fondamentali dell’Ue e del mercato unico”. Per questo, assicura il portavoce della Commissione europea, Jonathan Todd, “se le misure saranno finalizzate non mancheremo di verificare da molto vicino la conformità al diritto comunitario”. Non solo la direzione presa da Cameron non piace a Bruxelles ma, secondo l’esecutivo comunitario è anche difficilmente comprensibile: “I sussidi di disoccupazione – ricorda il portavoce – non vengono pagati dalla Gran Bretagna ma dal Paese dove gli emigrati avevano cercato lavoro”. Inoltre “i vantaggi economici della libertà di movimento dei lavoratori tra un Paese e l’altro sono immensi per gli Stati membri – ricorda Todd – perché permette di rispondere a deficit di competenze e alla penuria di lavoratori in rami specifici”. Molti studi indipendenti, ma anche della Commissione europea, sottolinea ancora il portavoce dell’esecutivo comunitario “sistematicamente mostrano che le persone si spostano davvero per lavorare e non per approfittare dei sistemi sociali e, nella grande maggioranza dei casi, i lavoratori degli altri Stati membri sono contributori netti per il sistema di welfare del Paese che li accoglie perché pagano più tasse di quanto non ricevano in benefit”.