Economia trasparente e sostenibile? Tanta teoria e poca pratica, tanti sforzi e pochi risultati. Nel mondo l’attività delle industrie estrattive operanti nei settori di gas, minerali e idrocarburi è ancora avvolta dal mistero. L’iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive (Eiti), avviata nel 2003 su iniziativa delle parti interessate, a oltre dieci anni di distanza ha prodotto risultati “scostanti e parziali”. E’ il giudizio del Servizio ricerca del Parlamento europeo in uno studio sullo stato di attuazione dell’iniziativa Eiti. Nata con l’idea di creare una piattaforma globale che unisse governi, imprese e parti interessate al fine di produrre regole di trasparenza uguali per tutti, l’iniziativa non ha prodotto i risultati sperati. Dopo undici anni “restano ancora lacune considerevoli perché l’Eiti possa essere un sistema standard globale”. Un fallimento. Anche perché a ben vedere chi doveva sostenere l’iniziativa non l’ha fatto. Allo stato attuale, tra le principali economie, solo l’Ue ha regole di trasparenza per le industrie estrattive. La direttiva “Trasparenza e rendicontazione” adottata nel giugno del 2013 ha come obiettivi proprio quelli di rendere pubbliche attività economiche delle aziende e le loro attività. Inoltre la Commissione europea ha versato 10,6 milioni di euro nello speciale di assistenza tecnica per quei paesi impegnati a rispettare i criteri Eiti.
Sul fronte extra-europeo nessun movimento. L’iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive è stata concepita per i paesi in via di sviluppo, così da garantire uno sviluppo sostenibile, ma sul fronte delle economie emergenti la ricezione e la partecipazione è stata pressoché nulla. I paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) non hanno mai aderito. Il servizio ricerca del Parlamento europeo rileva che il governo brasiliano “non sta sostenendo” le iniziative Eiti nonostante la principale compagnia di settore, Petrobras, abbia sostenuto la necessità dell’Eiti. Nemmeno la Cina ha mai sposato l’iniziativa, per timore che l’Eiti possa rivelarsi uno strumento dell’Occidente per frenare la presenza cinese in Africa. Quanto alla Russia, a prescindere dalle tensioni degli ultimi mesi, il paese “tende a confrontare i propri standard con quelli di paesi quali Cina, Arabia Saudita e Qatar più che con gli standard europei”. L’India risulta diffidente, vero è che “in generale c’è una forte dipendenza dalle politiche nazionali dalla legislazione locale” e questo porta a ritenere che “l’India non sosterrà una propria appartenenza all’Eiti”. Il Sudafrica ha invece altri problemi: il paese è ancora alle prese con la redistribuzione di ricchezze, cariche e poteri tra la popolazione, ancora segnata da decenni di politiche di apartheid. L’assenza di un esempio degli Stati Uniti complica ulteriormente le cose: il gigante nordamericano a oggi risulta ancora paese con status di “candidato” alla partecipazione all’iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive.
Dopo un decennio c’è ancora praticamente tutto da fare. Il Servizio ricerca del Parlamento europeo evidenzia come oggi siano 27 i paesi emergenti ad aver risposto in modo soddisfacente all’iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive. Sono per lo più paesi africani (Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Liberia, Mali, Mauritania, Mozambico, Nigeria, Sierra Leone, Tanzania, Zambia), anche se spiccano i tre paesi asiatici confinanti con la Russia (Azerbaijan, Kazakistan e Mongolia). Ma l’assenza delle economie di peso è un buco difficilmente colmabile da questi 27 virtuosi e dall’Ue.