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    Home » Editoriali » Il dilemma (che non c’è) sulla pena di morte

    Il dilemma (che non c’è) sulla pena di morte

    Ripubblichiamo oggi questo editoriale del febbraio scorso dopo la tragica notizia del condannato a morte negli Usa (Arizona) che ha agonizzato per due ore prima di morire

    Lorenzo Robustelli</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@LRobustelli" target="_blank">@LRobustelli</a> di Lorenzo Robustelli @LRobustelli
    24 Luglio 2014
    in Editoriali

    Dare la morte a chi non la vuole è una delle cose peggiori che si possano fare ad un essere umano. Ed è dunque sano combattere con ogni mezzo chi dà la morte, e tra questi quegli Stati che applicano la pena capitale.

    Di questo vorremmo parlare, del dilemma che impone lo scegliere di agire contro la pena di morte da parte di ricercatori e fabbricanti di medicinali potenzialmente letali. Il fenomeno che accade è questo: negli Stati uniti si eseguono le condanne a morte (in una trentina di Stati dove questa barbara pratica è ancora in vigore) utilizzando un cocktail di medicinali che, in teoria, dovrebbero portare il condannato ad una morte senza sofferenze fisiche. La verità, si spiega dal fronte abolizionista ma non solo, è che alcune di queste droghe sono inoculate per impedire al moribondo di manifestare all’esterno la sofferenza che invece il suo corpo patisce. In sostanza lo si paralizza così non si può agitare.

    La questione è che alcuni di questi prodotti che vengono utilizzati arrivano dall’Europa, sono fabbricati qui da noi, e per combattere contro la pena di morte i produttori stanno boicottando l’export verso gli Usa in vari modi, anche proibendone l’utilizzo (lo si può fare) nelle esecuzioni capitali. E’ certamente una bella cosa. Qualcosa di simile avviene anche nel mondo della ricerca, non solo europea, dove diventa sempre più difficile trovare scienziati disposti a sviluppare prodotti appositamente confezionati per dare la morte ai condannati. Ed anche questo è bello. Anche l’Unione europea istituzionale condanna, con fermezza e costantemente, l’utilizzo della pena di morte negli Usa.

    La barbarie però è tale proprio perché non sente ragione, e quello che sta succedendo negli Stati Uniti, in molti Stati degli Stati Uniti, è che si legifera per tornare a metodi di uccisione “tradizionali” dato che i prodotti “medici” utilizzati a partire dai primi anni ’80 oramai scarseggiano o sono proprio finiti nei magazzini delle carceri. La Virginia, il Missouri, stanno legiferando per tornare probabilmente alla sedia elettrica, ma si pensa anche alla fucilazione o alle camere a gas. Insomma, la pena di morte non si discute, va applicata, e se si deve tornare a metodi più arretrati (e magari più penosi per i condannati, che alle volte erano anche innocenti) lo si fa, senza tanti scrupoli.

    Dunque c’è un dilemma europeo? Il fatto che dal Vecchio Continente non si esportino più mezzi per uccidere “senza sofferenza” diventa una colpa nei confronti delle pene che subiscono i condannati? No, questo dilemma, secondo noi, non c’è. E’ duro da ammettere, ma chi uccide sono gli Stati che applicano la pena di morte, non chi fabbrica medicinali. E chi applica la pena di morte ne porta tutta la colpa.

    Tags: agoniaArizionacondanna a morteusa

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