La proposta è dirompente: l’Italia potrebbe rinunciare a una parte dei fondi europei che le spettano, chiedendo in cambio una pari riduzione della quota contributiva da versare per il bilancio dell’Unione. A lanciare la provocazione – anche se lui non la considera tale – è il professor Roberto Perotti, ordinario di politica economica alla Bocconi di Milano. Lo fa alla Camera, nel corso dell’audizione per l’indagine conoscitiva sull’efficacia delle politiche europee in Italia, istituita dalla commissione Politiche Ue. Una provocazione che Michele Bordo, presidente della commissione, respinge decisamente. “Non bisogna rinunciare ai fondi comunitari – sostiene – ma correggere le anomalie italiane”.
Il ragionamento di Perotti parte da una analisi sull’impiego dei fondi strutturali Ue. Il primo aspetto a essere criticato dal professore è il cofinanziamento. “E’ una ottima idea in teoria – spiega – perché impegnerebbe il destinatario dei fondi a esercitare un controllo sui progetti” che è obbligato a cofinanziare. Tuttavia, è il meccanismo che non funziona secondo il professore, perché “il cofinanziamento spetta allo Stato, mentre l’attuazione dei progetti è affidata alle regioni, le quali non hanno interesse” a svolgere una stringente attività di controllo, dal momento che sono solo beneficiarie di soldi provenienti per metà dall’Ue e per metà dallo Stato.
Perotti parla poi dell’effettiva validità dei progetti cofinanziati. Evidenzia il primo elemento critico: “si spendono decine di milioni per la valutazione dei progetti, ma non si producono dati che consentano di stimarne l’effettiva utilità”. L’esempio è quello dei corsi di formazione, per i quali spesso non si conosce la spesa pro capite per i partecipanti, e quasi mai si hanno informazioni sulla situazione occupazionale conseguente alla frequenza di un corso cofinanziato. Con un team di collaboratori, Perotti ha provato a fare un calcolo basandosi sui dati forniti da open coesione. Secondo le sue stime, “ogni ‘job entry’ (ingresso nel mondo del lavoro) costa in media 33 mila euro”. Però non è dato sapere di che tipo di lavori si tratti. Perché “un conto è spendere quella somma per creare un lavoro stabile, e allora possiamo decidere che ne valga la pena, ma se il lavoro dura tre mesi, quella spesa è esagerata”.
A allora che fare se i fondi europei sono inefficaci? Per Perotti la strada è una sola: rinunciarvi, almeno in parte. “Se chiedessimo di avere 3 mld in meno all’anno, ottenendo uno sconto di 3mld sui contributi da versare – dice il professore – per il bilancio europeo non cambierebbe nulla, ma noi risparmieremmo 6 miliardi, perché ci eviteremmo gli ulteriori 3 mld di cofinanziamento”. Soldi che per Perotti “potrebbero essere spesi per altre finalità”. Una proposta che però non ha trovato concorde la commissione. “Il dibattito è stato stimolante – ammette il presidente Bordo – ma alla fine la posizione condivisa, sulla quale anche io convengo, è che non si debba rinunciare ai fondi strutturali, che per alcune aree sono fondamentali, ma bisogna trovare rimedi alle patologie italiane per sfruttare meglio quelle risorse”.
Infine, ultimo elemento critico indicato dal professore, è “la complessità inutile della programmazione” dei fondi strutturali. Nell’iter che porta dal programma europeo ai piani regionali, e più giù fino ai sotto obiettivi specifici, la pletora di agenzie e passaggi burocratici crea un dedalo a volte inestricabile di ostacoli. Un problema che per Bordo “può essere risolto dalla Agenzia per la coesione per quanto riguarda le responsabilità italiane”. Però, prosegue il presidente, “anche l’Europa è responsabile rispetto alle lungaggini delle procedure di controllo”.