“Per quanto riguarda il cyber-spionaggio, non è solamente una manifesta ipocrisia tra alleati e partner, ma anche un attacco diretto contro la sovranità e una violazione dei diritti umani, nonché un’intromissione nella vita privata” ha spiegato Putin rispondendo a una domanda dell’agenzia Itar-Tass. “Sono pronto a sviluppare congiuntamente un sistema capace di garantire la sicurezza delle informazioni internazionali”, ha insistito il presidente russo alla vigilia della partenza di un suo tour diplomatico in America Latina.
La dichiarazione di Putin non stupisce all’indomani dell’espulsione del capo della CIA da Berlino, a seguito dello scandalo delle intercettazioni che qualche mese fa avevano raffreddato notevolmente i rapporti tra la Germania e l’amministrazione americana, al punto che lo stesso Obama si era affrettato a smentire di esserne a conoscenza e di aver dato ordine diretto di interrompere qualsiasi attività di questo tipo compiuta verso capi di stato e di governo di paesi alleati. Non stupisce nemmeno che questa dichiarazione avvenga prima del viaggio in America Latina, in paesi che hanno dato grande supporto e ospitalità a coloro che hanno contribuito a divulgare le informazioni sul Datagate. Paesi impegnati a ridefinire in maniera autonoma, aperta e per molti versi innovativa, la propria posizione sul web, sui protocolli di sicurezza e sulle libertà della rete in funzione di diritto ad accesso universale, facendo fronte comune – anche tecnologico – in posizione antitetica a Washington. Non stupisce nemmeno questa apertura alle questioni europee, nel tentativo di sbloccare l’isolamento russo a seguito della questione Ukraina e con l’approssimarsi dei rinnovi tariffari sul gas, offrendo il proprio supporto in un’agenda comune con l’Europa verso l’indipendenza di quest’ultima dal web-made-in-usa.
Le dichiarazioni del leader russo appaiono tuttavia incoerenti con la propria politica interna, se consideriamo che nell’ultima seduta prima delle ferie estive, il parlamento russo ha ratificato l’ulteriore giro di vite su internet, ultimo bastione rimasto per il dissenso: i deputati hanno approvato in seconda e terza lettura la legge che dal primo settembre 2016 obbliga tutte le società di comunicazione online, comprese quelle straniere, a conservare sul territorio russo ogni dato personale degli utenti, a pena di chiusura. In teoria, quindi, anche le compagnie straniere come Google (Gmail), Twitter, Facebook e Microsoft (proprietaria di Skype) saranno tenute ad avere il loro server nel Paese, allo stesso modo delle russe Yandex, Mail.ru o Vkontakte. Nel mirino, in aprile, erano finiti anche i blogger come Alexiei Navalni – ora agli arresti domiciliari – con almeno 3.000 utenti al giorno, equiparati ai mass media e ai loro obblighi di verificare l’attendibilità delle informazioni diffuse, di non violare la privacy dei cittadini, di evitare pubblicazioni di carattere estremista. Emblematico del clima che si respira in Russia il polemico auto esilio nei mesi scorsi di Pavel Durov, dopo essere stato licenziato da Vkontakte, il facebook russo – di cui era fondatore e direttore generale – finita nelle mani di due oligarchi vicino al Cremlino.
Se e come e in quali forme possa configurarsi una qualsiasi collaborazione russo-europea è tutto da definire, e allo stato delle cose anche da immaginare.
Difficile pensare ad un modello europeo che preveda i rigidi protocolli russi di filtraggio e crittazione, difficile anche solo immaginare di adottare quelle “chiavi” che di fatto consegnerebbero da mano americana a mano russa la capacità di decifrare i nostri metadati.
Quella di Putin appare più una dichiarazione di principio, tesa a rilanciare il tema di come vada oggi declinato il concetto stesso di superpotenza: in una semplice dichiarazione il leader russo rivendica la l’indipendenza del suo paese dai cloud, dai centri di immagazzinamento dati, dai software e dai sistemi operativi occidentali, e si pone come polo “disponibile” ad attrarre altri paesi desiderosi di uscire da questa “soggezione tecnologica”. La provocazione per l’Europa è esattamente questa: come e se scegliere di essere una “realtà unica e unitaria” per cercare di creare una propria infrastruttura che renda il vecchio continente indipendente dalle risorse americane, che renda i metadati dei cittadini europei “residenti” su piattaforme e cloud europei, sotto il controllo europeo, e con chiavi di crittazione e sicurezza non disponibili ad altri paesi, seppure alleati. Ciò non impedirà certo ogni forma di collaborazione utile alla sicurezza di stati, imprese e cittadini, ma quantomeno i rapporti reciproci saranno paritari, nel rispetto delle norme dei singoli stati, o quantomeno di normative europee generali condivise da tutti i paesi membri dell’unione.
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