Nemmeno il tempo di essere eletto futuro capo dell’esecutivo Ue che già per Jean-Claude Juncker e per la sua nascente Commissione si profila all’orizzonte il primo non piccolo problema. Nel turbine delle trattative per riuscire ad accaparrarsi la posizione migliore all’interno della squadra nascente, gli Stati membri stanno dimenticando un aspetto non secondario: la parità di genere. Un buon 90% dei nomi che circolano nei corridoi di Bruxelles sono maschili. Le eccezioni, sui ventisette posti da coprire, si contano sulla punta delle dita (di una mano): ci sono la nostra Federica Mogherini, che il governo italiano vuole al posto di Ashton come Alto rappresentante per la politica estera Ue, l’attuale premier danese Helle Thorning-Schmidt che potrebbe aspirare ad un portafoglio economico (nonostante alcune obiezioni causate dalla non appartenenza della Danimarca all’eurozona) e comincia a prendere quota anche l’ipotesi di una conferma in Commissione per l’attuale commissaria bulgara, Kristalina Georgieva, anche lei ben vista da alcuni come futura responsabile della diplomazia europea.
Se non si trovano altre donne al più presto, quello che prenderà forma rischia di essere un esecutivo europeo con una quota rosa assolutamente ridicola, alla faccia dei discorsi e della battaglie comunitarie sulla parità di genere. Non soltanto un inconveniente o la fonte di qualche imbarazzo: la mancanza di un’adeguata rappresentanza femminile in Commissione potrebbe essere ostacolo insormontabile per la sua stessa nascita. Il Parlamento europeo ha già assicurato che non darà il suo via libera ad una squadra senza un numero di donne adeguato. “La Commissione non troverà riscontro positivo del Parlamento europeo per quella che è la composizione attualmente proposta: sicuramente non possiamo accettare una Commissione con solo 3-4 donne”, ha chiarito Martin Schulz ad uno Juncker appena eletto.
Il problema esiste e anche il nuovo capo dell’esecutivo europeo lo sa bene. Nella futura Commissione ci devono essere “molte donne”, resta sul vago il lussemburghese senza fare numeri e rimandando la discussione sui commissari ad agosto. “Avevo pensato di chiedere ad ogni Stato membro di presentare due o più candidati”, spiega, ammettendo: “Non so se l’idea andrà avanti” ma “mi lascerò ispirare dalla procedura indicata dall’allora presidente Romano Prodi nel 1999, che aveva chiesto ai capi di governo di candidare molte donne” così che “la Commissione avesse una rappresentazione demografica dell’Europa”. Io, ricorda Juncker “allora proposi tre donne”.
Ma quale sia di preciso il numero giusto di donne per non fare gridare ad un’Europa maschilista nessuno lo sa. Qualche giorno fa le commissarie dell’attuale esecutivo comunitario hanno indirizzato una lettera a Juncker per chiedere siano almeno dieci (una più di ora). Ma anche così si resta fermi a poco più di un terzo dei rappresentanti e il Parlamento potrebbe non essere soddisfatto. Che sul tema l’attenzione sia alta lo hanno dimostrato anche le recenti audizioni di Juncker davanti ai gruppi del Parlamento, durante cui quasi tutte le famiglie europee hanno rivolto all’allora candidato designato almeno una domanda sulle quote rosa nel futuro esecutivo. “Per noi ci dovrebbe essere la parità dei sessi, e cioè un 50-50%”, chiedono i socialisti. D’accordo anche la Gue che ricorda: “Anche nel gruppo noi abbiamo parità perfetta tra uomini e donne e chiediamo che nella Commissione dovrebbe essere lo stesso”. I Greens insistono sulla procedura, sostenendo che “Juncker deve chiedere agli Stati di nominare due commissari di cui uno sia sempre una donna”. Di altra opinione sono i popolari, secondo cui il “numero di 9 donne nell’attuale Commissione è già un ottimo risultato”.