colonna sonora: Planet Funk – Tears After The Rainbow
È inutile rimpiangere il latte versato.
Qualche tempo fa (esattamente 47 giorni fa, ma non avrebbe senso puntualizzarlo) ho letto di un’infermiera canadese (che poi non è davvero canadese ma non ricordo di dove fosse e non mi va di controllare, tanto non cambia niente ai fini del discorso) che ha raccolto le testimonianze di pazienti di tutte le età in punto di morte, chiedendo quali fossero i maggiori rimpianti della loro vita.
Il risultato è inquietante.
Sono emersi cinque punti ripetuti quasi da tutti che sono praticamente l’essenza della vita stessa:
1) non aver vissuto secondo le proprie inclinazioni;
2) aver speso troppo tempo sul lavoro invece di stare con le persone amate.
3) aver represso i propri sentimenti;
4) non aver coltivato i rapporti con gli amici, finendo per perderli;
5) non aver fatto di tutto per essere felici.
L’ultimo punto è quello fondamentale e rappresenta la summa degli altri quattro.
“Summa” è latino, non è un errore di ortografia. Anche se quelli che ogni tanto citano parole in latino per farsi belli davanti alla plebe li eliminerei in toto. Perché poi vanno avanti ad libitum. Sembra che aver studiato il latino sia una conditio sine qua non per essere intelligenti. Ma come al solito state andando Fuori Tema, hic sunt leones.
Ma vediamo nel dettaglio i 5 punti.
1) “Volevo fare il porno star ma i miei mi hanno fatto studiare scienze politiche per poi mandare avanti il ferramenta di famiglia”. Quante volte avete sentito o pronunciato questa frase? Magari leggermente diversa, tipo dicendo “serial killer” e “cartoleria”, ma insomma il concetto è chiaro. Lasciarsi guidare dagli altri, anche se questi pensano di farlo per il nostro bene, è la cosa più sbagliata di tutte (no, forse prendere l’autostrada contromano è più sbagliata, ma comunque è tra le prime dieci). Per esempio sapevate che i genitori di Vincent Van Gogh volevano che il figlio diventasse un porno attore? Eppure lui ha portato avanti la sua passione per la pittura e per l’assenzio e alla fine è morto solo, povero e pazzo. Ma oggi tutti quanti sappiamo riconoscere la Gioconda al primo sguardo. O forse quello era Picasso. Vabbè, il senso è che è giusto ascoltare i consigli degli altri, soprattutto se sono persone che amiamo, ma poi dobbiamo essere noi a decidere, anche perché chi ci ama comunque ci sosterrà. A parte magari per la storia del serial killer, ma queste sono situazioni di nicchia.
2) “Figliolo, domani ho una riunione importante, ma vedrai che per il prossimo compleanno ti porto alle giostre”. Avete presente quelle strane coppie che si incontrano al luna park, formate da un anziano pensionato coi capelli bianchi e le braccia incrociate dietro la schiena, accompagnato da un quarantenne vestito casual che parla continuamente al telefono? Ecco, quelli sono il risultato del dare troppo spazio al lavoro invece di stare con i propri cari, e il compleanno allle giostre diventa il quarantunesimo. Un figlio non fa in tempo a mettere il primo dentino, mentre tu stai leccando culi a destra e sinistra per ottenere una promozione, e un giorno torni a casa e ti trovi davanti questo tizio con la barba e un coltello in mano che ti dice “papà, dammi i soldi per la macchina”. E pensare che avevi avuto una figlia, ti sei perso pure tutto il difficilissimo periodo del cambiamento di sesso. Ok, anche questo è un esempio di nicchia ma comunque la lezione è chiara: il lavoro (a meno che non abbiate saltato il punto 1) e quindi realizzato il sogno di fare il porno star e/o serial killer) dev’essere un mezzo per potersi godere il fine, inteso come fine dell’orario di lavoro, inteso come il prima possibile. Realizzarsi nel lavoro è ovviamente lecito, ma dev’essere una scelta cosciente, non una costrizione forse pensando al bene di tuo figlio che invece sicuramente sarebbe molto più contento se giocasse di più coi genitori, anche in una baracca. Magari almeno climatizzata. Dobbiamo stare attenti alle conseguenze del lavoro sulla nostra vita, evitare che prenda il sopravvento e che ci impedisca di vivere le cose importanti. Come appunto la famiglia, gli amici o Fuori Tema. O l’amante diciassettenne.
3) “Avrei dovuto dichiararle il mio amore prima che partecipasse a quell’orgia interrazziale”. “Avrei dovuto dire al mio capo che non mi piaceva l’idea delle divise in latex” “avrei dovuto impedirgli di accendersi la sigaretta accanto alle pompe di benzina”. Frasi come queste ne sentiamo a migliaia ogni giorno. La paura, l’indecisione, la società, a volte ci bloccano dall’esprimere liberamente il nostro pensiero. E spesso ci ritroviamo in situazioni che avremmo potuto evitare, o cambiare, o migliorare. Dicevamo al punto 1) di ascoltare i consigli degli altri, ma qui ribadiamo (uso il pluralis majestatis sia per dimostrare alla plebe che mastico il latino, sia per non offendere le altre mie personalità) che bisogna sempre ascoltare quello ci viene da dentro, flautolenze incluse, e non esitare ad esternarlo, perché noi stessi siamo l’unica persona alla quale dobbiamo sempre rendere conto. Sembra sgrammaticato ma è così. Le cose non dette poi marciscono e fanno male.
4) “ma dai? Quindi ti sei trasferito in Spagna e ti sei sposato Carlos? Non sapevo fossi gay” “Pronto c’è Alex? Ah davvero? Da otto anni? E dove è sepolto?” Quante volte abbiamo fatto queste gaffes? L’amicizia è come l’amore e l’amore è come la marijuana: va coltivato, annaffiato, curato e poi messo a seccare a testa in giù per far colare la resina e infine fumato, con pochissimo tabacco. Gli amici non sono ologrammi che si attivano solo quando ne abbiamo bisogno; sono persone con una vita, più o meno misera, e subiscono i cambiamenti come tutti: non bisogna darli per scontati perché si rischia di perderli. E invece sono la cosa più preziosa che abbiamo. Dopo quel Picasso trafugato che teniamo in cantina aspettando che si calmino le acque.
5) La felicità. E qui arriviamo al vero nocciolo della questione. Questa utopia intangibile che tutti inseguiamo come fosse la soluzione all’eterno enigma della nostra breve esistenza sulla Terra. Passiamo la vita a cercare la felicità nei posti più assurdi quando alla fine magari ce l’abbiamo in testa, come un paio di occhiali. E in effetti è nella nostra testa e nelle nostre mani. E per certi versi tra le nostre cosce. E davanti ai nostri occhi e sotto i nostri piedi. Solo che non la vediamo e la cerchiamo nei posti sbagliati finché non ci stanchiamo e ci dedichiamo alle cose più immediate come il lavoro, la TV, lo shopping… E la felicità rimane con gli amici che si allontanano, coi figli che crescono, coi capelli che si imbiancano, mentre la vita continua a correre e noi senza accorgercene siamo attirati ogni giorno di più dai cantieri dei lavori in corso, e prima o poi ci ritroveremo li davanti, con le braccia incrociate dietro la schiena, senza niente di meglio da fare, pensando che forse la felicità verrà tirata fuori da quella ruspa… che però sta sbagliando… guarda come è messa male… non si fa così… questi giovani di oggi non capiscono un cazzo…
La vita è un mozzico, se dice a Roma. Life is a Gas, dicevano i Ramones.
Siamo partiti dalle testimonianze di poveri disgraziati sul letto di morte, facciamo che non siano state vane.
Nessuno dei pazienti (curiosità: lo sapevi che il nome “paziente” deriva dai lunghisssimi tempi di attesa della sanità?) prende in considerazione abiti firmati, carriera, soldi, sesso né viaggi. A parole siamo tutti bravi ad elencare le cose che davvero sono importanti, ma nel quotidiano cosa facciamo per godercele al massimo?
E’ il caso di riflettere un po’ su questo discorso. Nel coffee-break o durante le pubblicità o prima che inizino i saldi.
Buon uichènd a chi afferra la vita con due mani, e non solo per un doggie style.