Il gas di scisto nordamericano non sarà la nuova frontiera energetica dell’Unione europea. Potrà essere un’alternativa alle politiche energetiche e commerciali fin qui seguite, ma in ogni caso sarà un’alternativa solo nel lungo periodo e che richiederà comunque la diversificazione delle fonti energetiche. È la conclusione dello studio del Servizio Ricerche del Parlamento europeo pubblicato a fine giugno. Il documento, dal titolo “Gas e petrolio non convenzionali del Nord America”, analizza l’impatto che produzione ed esportazione del gas di scisto di Stati Uniti e Canada avrà sulle economie globali. Il risultato, per la Ue che vede nei due paesi nordamericani un’alternativa alle dipendenze russe, non è dei migliori.
Lo studio giunge alla conclusione che solo “nel più lungo periodo Stati Uniti e Canada potrebbero diventare un fornitore alternativo di gas naturale liquefatto per l’Ue, sebbene i volumi scambiati non sarebbero comunque sufficienti a sostituire le forniture russe, rendendo necessaria un’ulteriore diversificazione” di fonti e fornitori. Inoltre, le attuali condizioni di mercato suggeriscono che “il mercato asiatico, con i suoi prezzi più elevati per il gas, è la destinazione più probabile per l’export di gas liquefatto di Stati Uniti e Canada”.
L’Ue, in prospettiva, rischia insomma di pagare il gas di nuova generazione a caro prezzo per un’offerta comunque insufficiente a rispondere alla domanda. Un problema, visto che il fabbisogno di gas dell’Europa a ventotto è soddisfatto per due terzi da importazioni. Oggi il principale fornitore dell’Ue è la Russia (32% delle importazioni nette nel 2012), ma il deterioramento dei rapporti con Mosca dopo la crisi ucraina e la decisione del Cremlino di vendere la risorsa alla Cina crea scenari da black-out per i ventotto paesi membri i quali – a differenza di Canada e Stati Uniti, dove la produzione di gas da rocce è già realtà – sono ancora alle valutazioni preliminari circa disponibilità delle risorse e sostenibilità della loro estrazione.
Il gas di scisto è un tipo di gas naturale intrappolato nelle rocce argillose tra i 2000 e i 4000 metri di profondità. Per prelevarlo occorre perforare il terreno verticalmente per arrivare al giacimento e successivamente, una volta raggiunto, far uscire il gas attraverso frattura idraulica dalla roccia in cui è intrappolato. Un simile lavoro ha un impatto sul territorio e sui consumi di acqua, motivi che hanno indotto circa due anni fa i paesi dell’Ue con giacimenti ad abbandonare la corsa al gas di scisto per l’elevato impatto ambientale.
Solo l’italiana Eni continua a lavorare su prospezioni in Polonia, paese con i maggiori bacini di gas di scisto. Attualmente solo Canada e Stati Uniti possono produrre gas di scisto su scala industriale (la sola produzione statunitense è passata da 12 milioni di metri cubi nel 2002 ai 275 milioni di metri cubi nel 2012), e la Cina sta cominciando. Per L’Ue si aprono dunque tre strade: gettarsi nelle braccia dei fornitori nordamericani (sapendo di dover pagare molto e per offerta insufficiente), avviare da subito una vera diversificazione delle fonti, tornare sui propri passi e iniziare a estrarre e produrre il gas di scisto che ha in casa. Ognuna di queste opzioni non è esente da costi, economici e ambientali. Un tema caldo per il prossimo commissario europeo per l’Energia e per il nuovo Parlamento. La strada da percorrere sembra essere indicata proprio dal paese a cui l’Ue guarda con interesse: gli Stati Uniti. Lo studio del Parlamento europeo ricorda come a marzo, in occasione della sua ultima visita a Bruxelles, l’inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, abbia invitato i paesi Ue ad accrescere la produzione domestica di energia.