“Cappuccino e cornetto, per favore”. “Due euro”.
Questo ascoltano ogni mattina le orecchie degli italiani a cui piace fare colazione al bar piuttosto che a casa. Noi – poi spiegheremo a chi si riferisce questo noi – abbiamo pensato di offrirvi, o meglio quasi regalarvi, al modico prezzo di one euro (e gratis per i primi tre mesi), la metà appunto di un cappuccino e cornetto, una prima colazione una volta a settimana diretta a nutrire la mente, fatta di riflessioni e analisi sull’Italia, l’Europa e il mondo. Non ci saranno eclatanti piatti esotici e raffinati come in un albergo a 5 stelle, ma poche e semplici pietanze come quelle che potreste trovare in un piccolo agriturismo marchigiano, umbro o toscano.
In primo luogo ci occuperemo di Europa. Cosa stanno pensando (non osiamo dire tramando) e decidendo a Bruxelles, a Berlino e nelle altre capitali europee? Che effetti avranno queste decisioni sulle nostre vite e sul nostro benessere? Supponiamo che, a nostra insaputa, qualcuno o qualcuna da qualche parte stia cucinando una bella minestra, chiamiamola se vogliamo austerità. Benissimo, che male c’è, direte voi. Nessuno, per carità, ma supponiamo che a un certo punto arrivi un ordine: tutti noi dobbiamo mangiare la sera la stessa minestra con esattamente gli stessi ingredienti. Questo potrebbe non piacerci, specie se la minestra non è un capolavoro culinario e per di più è difficile da digerire la notte. E allora, se così oggi va il mondo – di sicuro l’Europa – meglio sapere con un certo anticipo che minestra si sta cucinando e se possibile inserirci qualche ingrediente gradito.
Avevamo appena promesso una semplice colazione marchigiana ed ecco che siamo già passati a pesanti minestre nordiche. Torniamo ai nostri semplici piatti. Cos’altro c’è? Poche cose, come abbiamo già detto. Considerato che abbiamo avuto il grande privilegio, a partire dal Trattato di Maastricht, oltre a quello di avere a disposizione una nuova moneta unica, l’euro – gli inglesi avrebbero preferito una moneta comune, ma furono presi in contropiede nel 1990 dal nostro Giulio Andreotti, al tempo primo ministro italiano, e da Helmut Kohl, costringendo così Margaret Thatcher a dare le dimissioni – anche quello di poter aggiungere ai nostri passaporti il risonante titolo di cittadino europeo, oltre a quello vecchio di 150 anni di cittadino italiano, cercheremo di dare una risposta alle seguenti domande: come ci piacerebbe, in quanto cittadini italiani, che fosse l’Europa? E poi, ragionando da cittadini europei, che ruolo vorremmo che l’Europa svolgesse nel mondo? Vogliamo essere amici o nemici della Russia? Come dobbiamo comportarci con la Cina? Come dovremmo comportarci se un presidente americano vuole fare la guerra a un dittatore arabo? Gli andiamo dietro o facciamo di testa nostra?
Concludiamo questa brevissima presentazione con una chiarificazione necessaria. Gli editoriali (che troverete nella sezione intitolata “Secondo noi”) non saranno firmati. L’unica firma sarà un “Noi”. E allora chi siamo noi? Non vogliamo apparire né ambigui né poco trasparenti, ma la verità è questa: siamo un network di studiosi – nel senso ampio di persone a cui piace studiare e leggere buoni libri, persino di narrativa o poesia – sparsi in vari luoghi: istituti di ricerca, think tank, case editrici e altri centri di cultura vari, che hanno in comune alcune cose. Prima di tutto, per la maggior parte operiamo al di fuori di istituzioni accademiche, di organizzazioni o agenzie pubbliche, dei grandi gruppi economici. E poi condividiamo alcuni valori di fondo.
Crediamo nell’Europa, negli Stati Uniti d’Europa. Ma l’Europa che abbiamo in mente non è quella di oggi, ma un’Europa diversa ancora tutta da costruire. Nell’Europa che immaginiamo noi, una città come Roma, la città eterna, non può non essere al centro. E non riusciamo ad immaginare un’Europa senza gli inglesi. O l’Europa si farà insieme a loro o non si farà. Un’Europa ad egemonia tedesca non è nell’interesse di nessuno, nemmeno dei tedeschi stessi. E poi la parte più vitale, ancora oggi, della cultura europea, collega Londra e Roma. Il nostro grande ultimo “mago”, Giordano Bruno, pubblicò alcuni (sei per l’esattezza) dei suoi libri più famosi a Londra nel 1584-85, direttamente in italiano. In quegli anni bazzicava a Londra un giovane provinciale di estrazione cattolica, William Shakespeare. Sia Shakespeare che il suo grande erede John Keats (sepolto a Roma) sono stati grandi maghi della letteratura, più abili del nostro sfortunato nolano che, com’è noto, finì al rogo a Campo de’ Fiori. Al di là delle tattiche e pretattiche politiche, a noi sembra che a un’Europa senza l’Inghilterra mancherebbe il sale necessario per essere leader nel mondo.
Noi pensiamo che la globalizzazione, come sta avvenendo nella sua forma attuale, che è quella di massimizzare la ricchezza e il potere delle élite, creando disuguaglianze inaccettabili, non sia una cosa saggia. L’economia nata dalla rivoluzione digitale, o più in generale dalla rivoluzione nella tecnologia dell’informazione degli ultimi tre o quattro decenni, si è strutturata troppo attorno ai flussi finanziari. Ora, grazie alle più raffinate tecniche elettroniche, i capitali possono spostarsi in un nanosecondo da Tokio a New York, da Pechino a Londra, con un unico obiettivo: la ricerca di migliori rendimenti. Il sistema si basa su un potentissimo sistema informatico capace di sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalla deregolamentazione finanziaria avvenuta negli anni novanta e da una strabiliante varietà di strumenti finanziari prodotti da ingegneri super-qualificati, di cui tutti noi ci siamo accorti con colpevole ritardo. Questo nuovo tipo di economia finanziaria è talmente complessa e turbolenta che è riuscita ad eludere tutte le analisi tradizionali degli economisti accademici. Ci troviamo di fronte a quello che alcuni osservatori definiscono un bordello o casinò globale. Tra l’altro, i giocatori sono ben noti. Non ricchi borghesi che si vergognano di farsi vedere troppo spesso ai tavoli da gioco di Montecarlo, ma sgargianti personaggi che appaiono regolarmente con le loro facce su riviste patinate, amministratori delegati di grandi banche, hedge fund, fondi aperti e chiusi, ecc. Noi ci chiediamo a cosa serva una tale macchina. Perché di una macchina sembra ormai trattarsi, una macchina programmata per ottenere un unico scopo: produrre moneta, denaro. E chi ci guadagna? Ormai lo sappiamo tutti: speculatori finanziari, grosse imprese globali, i grandi produttori dell’high-tech. E del fatto che in quel piccolo puntino in cima alla piramide le cose non vadano male se ne discute oggi più che mai.
Naturalmente, noi non abbiamo nulla contro la tecnologia dell’informazione. Anzi! Pensiamo che essa rappresenti una grande opportunità per contrastare coloro che vorrebbero asservirla solo alla produzione di moneta.
Pensiamo inoltre che sia arrivato il momento di riformulare le regole delle istituzioni internazionali nate a Bretton Woods (Fmi e Banca mondiale) e poi quelle successive (Organizzazione mondiale del commercio e altre) che governano oggi il processo di globalizzazione.
Infine, più che i grandi imperi – quello americano, quello cinese, quello russo, persino quello europeo, con i loro simboli –, noi crediamo che la cosa che più conta, per la qualità della nostra vita, è la qualità dei servizi e la bellezza delle città o dei paesi in cui abitiamo e che un’arte di vivere europea che voglia fare da modello per il resto del mondo deve partire da questa presa di coscienza. È qui che si dovrà realizzare un ridisegno ecologico delle nostre strutture e tecnologie per rendere i luoghi dove abitiamo luoghi ecologicamente compatibili, dove non estraiamo dalla natura sfruttandola ma impariamo da essa.
Ad ogni modo, vogliamo che Oneuro sia una conversazione, non un monologo, quindi fateci sapere cosa ne pensate. Buona lettura!
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