Il grande equivoco della questione inglese è che quando si parla di Unione europea, di qua e di là dalla Manica si intendono cose diverse. Per gran parte degli europei l’Unione europea è un progetto politico che deve portare a qualche forma di unificazione dei nostri paesi.
Perfino gli euroscettici condividono questa visione: per loro può essere diverso il modello, più ancorato alle identità nazionali e più statalista, ma non il risultato di un’Europa forte che sia capace di resistere all’impatto della globalizzazione e che conservi la propria identità. Per i britannici invece l’Unione europea continua ad essere un’associazione economica di paesi sovrani dove ognuno deve trovare il proprio concreto tornaconto nell’adesione. In quest’ottica ancora oggi continua a porre la questione europea tutta la stampa britannica, accanendosi a ragionare su come il Regno Unito, dopo la messa alle corde di Cameron, possa rinegoziare la sua adesione all’UE.
Nessuno spiega agli inglesi che l’adesione all’UE non è il risultato di un negoziato che ogni paese conduce con qualche fantomatica autorità brussellese dove ognuno può cercare di strappare il massimo. È un trattato internazionale dove le condizioni di adesione sono uguali per tutti. Per fare una metafora calcistica, quando una nazionale di calcio si associa alla Fifa lo fa per giocare il calcio, con le sue regole, e non cerca di ottenere che i suoi giocatori possano ad esempio toccare la palla con le mani o scendere in campo in dodici. L’UE ha bisogno di forza e di unità e la nomina di Juncker è la conferma di questa volontà comune che supera le differenze politiche. Ma se per gli inglesi il concetto di adesione all’Unione europea è così fumoso, è perché nessuno Oltremanica crede nel contenuto ideale del progetto europeo.
Non c’è fra i britannici il sentimento di appartenere ad una stessa cultura e tradizione del Continente, di condividere lo stesso destino, di far parte di uno stesso mondo. Anche nelle celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale gli inglesi sono i soli che continuano a ricordarla soprattutto come una guerra per la libertà, nello stesso spirito della Seconda. Nessuno a Londra vede nella data dell’anniversario Sarajevo, che fatidicamente cade il giorno dopo la nomina di Juncker, l’autodistruzione dell’Europa, la fine della sua influenza nel mondo e l’inizio di un declino che sta ancora consumandosi. Per gli inglesi la Prima Guerra Mondiale fu una guerra di difesa del loro impero, dei loro interessi e della loro forza nel mondo.
Così hanno visto anche l’ultimo vertice europeo: un’ennesima battaglia, per il momento perduta, di dominio e di supremazia. Se nel 2017 gli inglesi andranno al referendum per votare la loro adesione all’UE con questo spirito, è giusto per loro ed e meglio per l’Europa che Londra esca dall’UE. Dal “we want our money back” della Thatcher, agli opting-out di Major e ora alle pretese di rinegoziato di Cameron, l’opinione pubblica inglese è stata sospinta troppo lontano da ogni spirito europeista. A forza di agitare irresponsabilmente lo spauracchio europeo, la classe politica inglese si è ficcata in un cammino irreversibile che potrebbe avere ripercussioni anche su referendum scozzese. Un errore storico di cui un giorno dovrà rendere conto.