Colonna sonora: Mina – La palla è rotonda
L’immagine che più mi ha colpito è stata quella di una donna dal volto deformato dalla rabbia, con i figli vicino, che strillava parolacce e maledizioni alle ruspe che le stavano distruggendo la capanna in cui aveva vissuto fino a quel momento. Nell’ultimo anno in Brasile i casi del genere sono stati migliaia. Intere favelas rase al suolo per far posto a nuove strutture o per “mettere in sicurezza” gli stadi e gli hotel a cinque stelle in vista del Mundial, centinaia di famiglie rimaste senza casa da un giorno all’altro, in un paese in cui i ricchi vanno a lavoro in elicottero e i bambini bruncano la mondezza.
La popolazione è scesa spesso in piazza contro gli abusi e i vergognosi costi per l’organizzazione dell’evento e puntualmente le proteste sono state represse con la forza. Ci sono stati scioperi, campagne, appelli, ma alla fine, com’era ovvio, i mondiali di Brasile 2014 hanno avuto inizio.
E quest’anno la coscienza mi ha chiesto di boicottarli.
A Bruxelles ogni quartiere, ogni locale si schiera con la propria squadra ma non mancano i bar misti, in cui tifosi di team avversari si godono insieme la partita, più o meno civilmente. Ed ogni sera è un carosello fino a tarda da notte, perché chiunque vince fa contento qualcuno.
Sabato scorso c’è stata la partita dell’Italia. Sicuro della mia decisione sono comunque uscito per andare verso il Parvis de Saint-Gilles a incontrare qualche amico.
Un gruppetto era pigiato insieme a decine di persone al “Louvre”, all’angolo. Ho spiegato la mia posizione e qualcuno mi ha preso per pazzo, qualcuno mi ha preso per il culo e qualcuno mi ha moralmente apprezzato.
– ma se non guardi il mondiale, esattamente com’è che risolvi la situazione?
– da solo non la risolvo, ma se lo facessimo TUTTI, tra quattro anni le cose non andrebbero come sono andate quest’anno.
– in effetti hai ragione… ora scusa ma c’è l’inno.
Ed eccoli lì, tutti a cantare sguaiatamente un inno in cui non credono troppo, ma che da quel senso di comunità nazionale di cui, soprattutto se sei un expat, ogni tanto abbiamo bisogno. Li guardo dalla finestra aperta battere le mani e sventolare le bandiere e mi rendo conto che ho preso una decisione davvero coraggiosa.
Mi sposto verso il Potemkine a Port de Hal, dove ci sono altri amici. Busso sul vetro e alla fine qualcuno si gira. Sorrisi, gesti di saluti e indicazioni per entrare; faccio no col dito, mi guardano perplessi poi un’azione dei nostri li distrae definitivamente da me. Volevo spiegare anche a loro il mio punto per fare controinformazione, o forse volevo mostrare la mia coscienza tenacemente candida o forse semplicemente mi sentivo solo. Come i bambini delle favelas che guardano da fuori gli stadi illuminati.
Mi concentro sulla disperazione della madre di famiglia sgomberata dal carrozzone FIFA e ritrovo l’equilibrio. Attraverso la strada e sono davanti alla vetrina della brasserie di Michele, che espone sulla facciata un bandierone tricolore 2×4. Dei due amici che sono dentro ne esce solo uno per fumare una sigaretta, l’altro non scolla gli occhi dal televisore.
– ma si, è uno schifo, hai ragione, ma minchia sono i mondiali. Gioca l’Italia!
– eh, non me lo dire, ma mi sento di fare così, voglio stare al fianco delle favelas.
– fai come ti pare, io vado dentro e prendo un’altra birra.
Torno al Parvis dove girano solo spagnoli, portoghesi e greci (per farla breve) e chiunque mi conosce mi chiede perché diavolo non sto vedendo la partita. Vacillo ma spiego il mio punto. Ridono.
Alla Maison du Peuple c’è musica carina e mi prendo un vodka tonic. Ballucchio un po’ poi esco a fumare e apro tweeter, dove nel giro di 5 minuti assisto all’esultanza “social” per il goal e alle bestemmie per il pareggio. Prendo la bici e vado verso il centro per distrarmi.
In giro non c’è nessuno, sono tutti ammassati nei pub davanti agli schermi, le telecronache multilingue sono l’unica colonna sonora della notte. Mi sento strano. Un boato mi costringe ad inchiodare e spiaccicarmi contro una vetrina per vedere il replay di Balotelli. L’Italia sta vincendo, io mi sto perdendo qualcosa.
Pedalo cercando di allontanare la debolezza e raggiungo un altro posto, gigante, aperto solo per la coppa del mondo, pieno di inglesi ed italiani. Cerco un amico non interessato al calcio per fumare in compagnia ma ne trovo un altro che mi chiede, visto che boicotto la partita, di prendergli da bere. Torno con due birre, provo a chiacchierare con lui ma è come parlare ad una statua. Do occhiate fugaci allo schermo bevendo in fretta, comincio a pensare di essere patetico e torno a pedalare nel buio, cercando di convincermi di stare facendo la cosa giusta.
Sono di nuovo al Parvis a legare la bici quando il fischio finale riversa una folla di connazionali festanti per le strade. Sono tutti felici ed ubriachi e mi abbracciano col calore di casa. Mi sciolgo.
– ma insomma, perché cazzo non sei venuto? Siamo fortissimi!
– sono contento, ma quest’anno voglio stare dalla parte degli abitanti delle favelas.
– ah perché pensi che loro non si guardano il mondiale?
Un fulmine mi attraversa. Certo che se lo guarderanno. Ed esulteranno, si copriranno gli occhi, salteranno dalle sedie e insulteranno gli arbitri. Insieme a tutto il resto del mondo (qualificato).
Fuori resta lo schifo. I ricchi continueranno ad essere più forti finché noi non saremo più consapevoli e agguerriti. Ma in quei 90 minuti non c’è altro a cui pensare. Amici, birra, rumore e sport. Capita solo ogni 4 anni. La guerra al sistema bisogna pianificarla meglio, diffondere le idee e raccogliere le notizie.
Forse significa che ancora una volta hanno vinto loro, ma per la prossima partita voglio essere in prima fila.
Forza Azzurri, Forza Belgio, Forza Brasile e abbasso la FIFA!
PieSse:
In realtà all’ora della partita sarò su un aereo verso le vacanze, ma questa è un’altra storia.