Un’altra sconfitta per Riccardo Nencini nella sua causa con il Parlamento europeo sugli oltre 450mila euro di rimborsi che, secondo l’Aula, sarebbero stati percepiti in maniera irregolare dall’attuale viceministro ai Trasporti quando ricopriva la carica di deputato europeo. L’Avvocato generale Maciej Szpunar ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di respingere il ricorso in cui Nencini contesta la determinazione delle spese a suo carico.
IL FATTO – L’attuale segretario del Partito socialista italiano è stato eurodeputato nella legislatura 1994-1999. Nel dicembre 2006, in seguito a un’indagine dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), il Parlamento avviò su di lui un procedimento di verifica e successivamente di recupero di alcune spese di viaggio e di assistenza parlamentare che gli erano state corrisposte, secondo l’Aula, in violazione della regolamentazione in materia. In tutto si tratta di 455.903 euro di cui 46.550 a titolo d’indennità di viaggio e 409.352 a titolo d’indennità di assistenza di segreteria.
I RIMBORSI DEI VIAGGI – Ma cosa sarebbero tutti questi soldi? Per quanto riguarda i viaggi secondo la sentenza del 4 giugno 2013 i 46.550 euro sono la differenza tra quello che gli sarebbe spettato e quello che invece ottenne. In che modo: mentre adesso gli spostamenti dei Parlamentari europei sono rimborsati al netto del costo, prima venivano rimborsati con una cifra forfettaria in base alla distanza tra Bruxelles e il luogo di residenza. Nencini risultava residente a Barberino del Mugello, in provincia di Firenze, ma si faceva rimborsare sempre la quota del viaggio spettante per Roma. Nella sua difesa l’ex deputato afferma che lui per motivi di lavoro doveva andare a Roma e quella nei fatti era la sua residenza. Ma secondo il Tribunale la nozione di domicilio non poteva “essere collegata al «luogo di effettiva partenza del deputato» o a un centro di interessi, ma al domicilio, definito secondo criteri oggettivi e trasparenti”.
I RIMBORSI PER GLI ASSISTENTI – Per quanto riguarda invece la somma più ingente, ovvero i 409.352 euro percepiti in 5 anni a titolo d’indennità di assistenza di segreteria, sarebbero somme percepite da Nencini per pagare assistenti in Italia, assistenti però che, per ammissione dello stesso segretario socialista, non erano stati tutti registrati, come prescrivono le regole di Bruxelles. L’ex deputato si difese parlando di un semplice “errore commesso in buona fede”, e assicurando “di aver trasferito alle persone che hanno svolto per lui lavori di segreteria, che i loro nomi fossero dichiarati e registrati presso i servizi del Parlamento oppure no, la totalità delle indennità di assistenza di segreteria previste a tal fine e, quindi, di non aver trattenuto alcuna somma”. Ma la Corte non è stata dello stesso parere. “La regolamentazione era perfettamente chiara e non poteva esservi alcun dubbio”, quanto alla “necessità di dichiarare presso i suoi servizi il nome di ciascun assistente”, si legge nella sentenza.
IL RICORSO – Il 16 luglio 2010, il Segretario generale del Parlamento chiesto la restituzione di questi soldi e a sua volta Nencini l’annullamento di questa richiesta. Ma il suo ricorso è stato respinto una prima volta dal Tribunale comunitario il 4 giugno 2013 e allora Nencini ha impugnato questa sentenza davanti alla Corte di Giustizia contestando la determinazione delle spese a suo carico. Ma secondo l’avvocato generale, che ha il compito di proporre alla Corte una soluzione giuridica nella causa e il cui parere viene di norma accolto, anche questa richiesta dovrebbe essere respinta.