Alla domanda “quale sarà la rivelazione dei Mondiali 2014”, la maggioranza degli appassionati e degli addetti ai lavori risponde: “il Belgio”. Il che dovrebbe già di per sé destare qualche sospetto. “Se tutti dicono che X sarà la sorpresa, allora X non è una sorpresa”, recita un vecchio adagio da bar sport. Per togliersi ogni dubbio basta consultare le quote dei bookmakers. Il sito specializzato Oddshark.com dà il passaggio dei diavoli rossi agli ottavi di finale come primi nel girone H (che comprende anche Russia, Corea del Sud e Algeria) a 4:7. La vittoria finale è quotata 14:1. In pratica, secondo gli scommettitori, il Belgio è il principale candidato a vincere i Mondiali dopo i padroni di casa del Brasile, la Spagna campione in carica, l’Argentina di Messi e la Germania, davanti a grandi storiche del calcio europeo come l’Italia, la Francia e l’Olanda e a realtà consolidate come la Colombia e il Cile. Di fronte a queste cifre è difficile parlare di outsider. Che cosa è successo?
È successo che dopo anni di anonimato il Belgio è sbocciato nelle qualificazioni per Brasile 2014, dominando un girone tutt’altro che semplice che comprendeva Croazia, Serbia, Scozia, Galles e Macedonia sotto la guida del nuovo commissario tecnico Marc Wilmots. L’impresa è riuscita grazie alla maturazione di una straordinaria covata di talenti, dal capitano Vincent Kompany al fantasista Eden Hazard, passando per i centrocampisti Axel Witsel e Marouane Fellaini, con le loro inconfondibili acconciature afro, gli attaccanti Kevin De Bruyne, Dries Mertens, Romelu Lukaku e Christian Benteke fino al formidabile portiere Thibaut Courtois. Molti di questi giocatori sono stati al centro di scambi multimilionari nelle ultime sessioni di calciomercato. Hazard è passato dal Lille al Chelsea per 32 milioni di euro, Witsel dal Benfica allo Zenit di San Pietroburgo per 41; Fellaini è stato acquistato dal Manchester United per 33 milioni, De Bruyne dal Wolfsburg per 18. Dopo l’eccezionale stagione disputata all’Atletico Madrid, la valutazione di Courtois è lievitata a 25 milioni di euro, secondo la stima (conservativa) del sito transfermarkt. Lukaku, acquistato l’anno scorso dal Chelsea e poi girato in prestito all’Everton, ne vale almeno altrettanti.
L’ultimo exploit della nazionale belga in un torneo internazionale risale al 1986, quando i diavoli rossi allenati da Guy Thys, maestro dell’organizzazione difensiva e della “trappola del fuorigioco”, come si diceva allora, arrivarono in semifinale a Mexico ’86 eliminando negli ottavi l’Urss di Lobanowski in una delle partite più emozionanti della storia dei Mondiali e nei quarti la Spagna di Butragueño e Michel ai rigori, per poi arrendersi all’Argentina di Maradona. Fu il canto del cigno di una “generazione dorata” che si pensava irripetibile, figlia di un campionato di ottimo livello dove l’Anderlecht, lo Standard Liegi e il Club Brugge si davano battaglia e si facevano rispettare anche nelle coppe europee. Gli eroi di quella stagione si chiamavano Jean-Marie Pfaff, Eric Gerets, Frank Vercauteren, Frank Vandereycken, Jan Ceulemans, Michel Preud’Homme e Vincenzo Scifo. Poi i diavoli rossi si sono spenti, tanto che dal 1988 al 2008 si fa fatica a trovare un solo giocatore belga degno di nota. L’unico è stato forse l’attuale ct Wilmots, vincitore della supercoppa europea con il Mechelen nel 1988 e della coppa Uefa con lo Schalke 04 nel 1997.
Nel 2008 il movimento ha dato qualche cenno di risveglio grazie all’under 23, semifinalista alle Olimpiadi di Pechino. Poi c’è stata la doppia delusione della mancata qualificazione ai Mondiali del 2010 (con Dick Advocaat ct) e agli Europei del 2012 (con Leekens). La svolta è arrivata a ferragosto del 2012. A Bruxelles, in una delle prime amichevoli dell’era Wilmots, il Belgio ha travolto per 4 a 2 l’Olanda, rivale storica, sempre ammirata e invidiata, surclassandola nel gioco d’attacco. In passato le poche vittorie sugli orange erano sempre arrivate grazie alle armi tradizionali: difesa, ostruzionismo e contropiede. Wilmots ha invece optato fin da subito per un approccio più offensivo, schierando la squadra con il 4-3-3 o il 4-2-3-1, con Mertens o Kevin Mirallas dell’Everton a destra e Hazard a sinistra dietro a Benteke o Lukaku, De Bruyne trequartista (nel 4-2-3-1) o incursore dal centro-destra (nel 4-3-3), Witsel regista e Fellaini o Moussa Dembele del Tottenham a dare equilibrio difensivo a centrocampo.
Quella portata a compimento dal ct è una rivoluzione che viene da lontano. Su iniziativa della federazione, dal 2004 tutte le scuole calcio del Belgio hanno abbandonato le metodologie tradizionali di allenamento (il ruolo di libero si insegnava perfino alle bambine di 8 anni) per abbracciare una singolare utopia calcistica identificata dall’acronimo “GAG”, Global-Analytique-Global in francese, Globaal-Analytisch-Globaal in fiammingo. Il progetto, frutto di uno studio commissionato dal direttore tecnico della federazione Michel Sablon all’università di Lovanio, è quello di fondere il meglio della scuola olandese, imperniata sul multiculturalismo e sulla tecnica individuale (Global), e di quella francese, basata sulla forza fisica e la preparazione tattica (Analytique), per dare vita a un calcio nuovo, cosmopolita, offensivo e spettacolare (ancora Global). “Ci vogliono cinque o sei anni di apprendimento per le nostre squadre giovanili”, spiega Sablon. “Giocano aperte. Attaccano sempre. Perdono, ma non è un problema. L’identità e lo sviluppo dei giocatori è molto più importante”, spiega Sablon. “Il nostro obiettivo finale è dichiaratamente utopico: il 100 per cento di possesso palla”, ha detto recentemente Bob Broweays, allenatore dell’under 17.
Alla fine i risultati sono arrivati. Ora però l’aspettativa è altissima. Il rischio della delusione, già sperimentata in passato da altre nazionali attese con febbrile curiosità, dalla Danimarca a Mexico ‘86 alla Colombia di Maturana ad Usa ‘94, è dietro l’angolo. Intanto però, il Belgio si gode il suo status di favorita del Mondiale. Senza paura.
“C’è pressione. Ma è una bella pressione”, dice il capitano Kompany.