“Il futuro dell’Unione Europea”: è con questo motto che il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, insieme al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e al vicepresidente del Parlamento europeo László Surján, ha scelto di dare il benvenuto ai leader delle grandi religioni europee. Cristiani, musulmani, ebrei, ma anche indù, sikh e mormoni si sono dati appuntamento a Bruxelles per interrogarsi sul ruolo dell’Europa e sul contributo che la fede e il dialogo interreligioso possono dare alla costruzione della pace.
Si tratta del 10° anniversario della riunione tra leader europei e rappresentanti religiosi e la regolarità di questo momento di confronto, insieme alla riunione con i rappresentanti delle organizzazioni filosofiche e non confessionali, è stata fissata dall’articolo 17 del Trattato di Lisbona.
L’incontro ha rappresentato l’occasione per ricordare, con un minuto di silenzio, il terribile attacco al museo ebraico del 24 maggio in cui hanno perso la vita quattro persone. Al centro del dibattito anche la discussione sul ruolo che la religione può avere nel processo d’integrazione, soprattutto alla luce delle recenti elezioni che hanno visto emergere movimenti xenofobi all’interno del nuovo Parlamento europeo. “Vi è un urgente bisogno di rafforzare i legami tra i cittadini europei e il processo democratico dell’Ue – ha affermato il presidente Barroso – credo fermamente che il coinvolgimento attivo delle Chiese e delle comunità religiose possa contribuire in modo decisivo a questa riflessione”.
I leader europei e i rappresentanti religiosi hanno scelto questa giornata anche per dare un segnale forte in merito al caso di Meriam Yahya Ibrahim, la donna sudanese che ha da poco dato alla luce una bambina mentre era in cella e che è ora condannata a cento frustate e alla pena capitale per impiccagione con l’accusa di apostasia e adulterio. “Esprimiamo sgomento profondo e preoccupazione per la sorte della signora Meriam Yahya Ibrahim – si legge nella dichiarazione congiunta fatta al termine della riunione – ricordiamo l’obbligo internazionale del Sudan di proteggere la libertà di religione e di credo e unanimemente invitiamo le autorità sudanesi responsabili e la Corte d’appello a revocare questo verdetto disumano e a rilasciare Meriam con la massima urgenza”.