Al tavolo dei leader del G7, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama c’è e si sente. Il suo peso è evidente soprattutto nella parte di conclusioni che i leader dei Sette stilano a proposito della situazione ucraina. A prevalere, tra i Paesi membri dell’Ue, è da settimane la volontà di dare la precedenza al dialogo: con le elezioni presidenziali, hanno spiegato chiaramente dalle istituzioni europee, si è aperta una finestra che potrebbe consentire contatti distensivi tra il nuovo leader ucraino, Petro Poroshenko e il Cremlino, meglio non creare tensioni con nuove misure restrittive. Dalla riunione del G7, invece, tornano le minacce di sanzioni: “Siamo pronti a intensificare sanzioni mirate e ad implementare misure restrittive significative per imporre ulteriori costi alla Russia, qualora gli eventi lo dovessero richiedere”, avverte la nota, bollando come “inaccettabili” le interferenze russe.
Le richieste del G7 a Mosca sono chiare: “l’annessione illegale della Crimea e le azioni per destabilizzare l’Ucraina orientale sono inaccettabili e devono finire”, si deve riconoscere il presidente ucraino, accelerare il ritiro delle truppe dal confine, smettere di sostenere i separatisti e interrompere il flusso di armi verso la regione sud-orientale. “Vedremo ciò che farà Putin nelle prossime due, tre, quattro settimane”, ha spiegato Obama nel corso di una conferenza stampa congiunta con il premier britannico Cameron, aggiungendo: “Se Putin continua a minare la sovranità dell’Ucraina non avremo altra scelta che reagire”. Una decisione su cui, assicura, “c’è stata una grande sorpresa per quanto siamo uniti”. Sull’Ucraina “ci sono rilevanti preoccupazioni” anche se “è stato significativo e utile che il G7 abbia mantenuto quell’unità di fondo che è precondizione per affrontare il tema dei rapporti con la Russia e con l’Ucraina”, ha concordato il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi.
Di fronte alla crisi ucraina, dal G7 arriva anche la spinta per un’accresciuta cooperazione energetica. I leader di Stati Uniti, Giappone, Canada, Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno assunto impegni per “identificare e attuare, separatamente e congiuntamente”, politiche energetiche che permettano di aggirare la Russia e sganciarsi dalle dipendenze del paese euroasiatico. Diversificazione di fonti, fornitori di energia e “stimolo” delle risorse indigene è il primo elemento della strategia concepita per arrivare gradualmente alla sicurezza energetica.
Nell’immediato però i paesi europei del G7 accompagneranno gli sforzi della Commissione Ue per definire piani d’emergenza regionali per l’inverno 2014-2015. L’obiettivo è essere pronti ad eventuali interruzioni delle forniture. Per questo verrà chiesto all’Agenzia internazionale per l’energia di presentare “entro la fine dell’anno” proposte di azioni individuali e collettive per la sicurezza dei rifornimenti di gas. Nel frattampo ogni paese del G7 condurrà valutazioni sul grado di elasticità dei sistemi energetici così da valutare gli impatti di eventuali schock. “La crisi ucraina rende evidente come la sicurezza energetica debba essere al centro della nostra agenda comune e ci induce a cambiare il nostro approccio” al tema, hanno riconosciuto i capi di Stato e di governo del G7.
È stato deciso di puntare sin da subito alla promozione di tecnologie a bassa emissione di carbonio quale risposta alla forte dipendenza. Si tratta di energie da fonti rinnovabili, nucleare “in quei paesi che optano per un suo utilizzo”, sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs). Si dovrà poi procedere alla creazione di un mercato del gas naturale liquefatto attraverso lo sviluppo di sistemi di trasporto, capacità di deposito e costruzione di rete di distribuzione. I leader dei paesi del G7 hanno dato mandato ai loro ministri dell’Energia di lavorare su questi punti e “riferire nel 2015”.
La strategia concordata a Bruxelles presenta però nel sostegno economico delle criticità, soprattutto per i Paesi europei alle prese con vincoli di spesa. Lo sviluppo di un rinnovato mercato dell’energia richiede dei costi, così come li richiedono “investimenti continui nel settore della ricerca” su cui i grandi sette si sono impegnati a lavorare. Immediate le critiche della co-presidente del partito dei Verdi europei, Monica Frassoni. “Manca ancora una vera e propria strategia comune”, il suo commento. Con le decisioni di oggi “si vogliono proporre di soppiatto soluzioni veloci, ma non sostenibili come il Ccs o fratturazione idraulica per il reperimento di gas senza intavolare un appropriato dibattito pubblico”.