Un “campanello d’allarme” che dovrebbe fare riflettere l’Europa sulla necessità di differenziare le sue fonti di approvvigionamento energetico, così da “troncare, una volta per tutte, la sua dipendenza dalle importazioni”. Così, secondo Greenpeace, dovrebbe essere vista l’attuale crisi della sicurezza energetica.
Il problema, secondo il consulente per la politica energetica, Tara Connolly è che i leader delle sette nazioni più sviluppate al mondo continuano ad assecondare “l’industria dei combustibili fossili che dipende dalle stesse fonti di approvvigionamento energetico che ci hanno portati in questo pasticcio”. Secondo gli ambientalisti, la crisi ucraina ha “evidenziato quanto l’Europa sia vulnerabile alle interruzioni di importazione di energia”. Un comportamento che “tiene l’Europa strettamente ancorata a fonti di energia sporche, mentre sacrifica, allo stesso tempo, la sicurezza e il clima”.
Nemmeno il nucleare, continua Greenpeace, rappresenterebbe una valida alternativa alle importazioni: le centrali nuove, in Europa, sono poche, costose e in ritardo sui tempi di costruzione a caua di problematiche tecniche, mentre il quaranta per cento di quelle già presenti paiono vecchie di più di trent’anni e, quindi, pericolose da usare.
La soluzione, secondo Connolly, sarebbe invece porre fine al rapporto di subordinazione che l’Europa intrattiene con i paesi dell’Est – che forniscono all’Europa più del dieci per cento del fabbisogno di gas – in materia di energia e di cogliere l’occasione, invece, per investire in nuove forme di energia rinnovabile: “punto di partenza rivoluzionario” per una produzione di energia “pulita, sostenibile e tecnologicamente avanzata”.
Pochi giorni fa la Commissione europea ha presentato un piano per far fronte al problema e ridurre, così, la dipendenza dell’Europa dall’importazione energetica dalla Russia. Il progetto verrà discusso in occasione del Consiglio energia che si terrà a Lussemburgo il prossimo 13 giugno e, poi, durante il summit europeo di fine mese, quando i leader decideranno se e in quale parte approvare il documento. Motivo di preoccupazione di Greenpeace rimane, però, il fatto che la Commissione abbia parlato di ovviare al problema “massimizzando l’uso di fonti indigene di energia” senza, d’altro canto, “proporre misure politiche concrete per raggiungere l’obiettivo”.