Vota bene! Così suonava tanti anni fa dalle mie parti l’ultima raccomandazione prima del voto e voleva dire una sola cosa. C’era un solo voto buono. Qualsiasi altro sarebbe stato votare male. Per queste elezioni le cose si pongono specularmente al contrario. C’è solo un voto cattivo e tutti sappiamo quale. Ma se gli europei oggi sono chiamati a decidere se essere europeisti o antieuropeisti, è perché l’establishment europeo da troppo tempo ha lasciato andare avanti una costruzione politica senz’anima che poteva solo esistere in termini economici. Quello che è mancato è una visione di società, un’idea condivisa di coesistenza.
Del resto questo è da sempre il grande problema di ogni civiltà. Come strutturare la lealtà, l’appartenenza? Come definire e delimitare il gruppo umano di cui si fa parte? Come tenere fuori gli altri e tenere dentro noi? Chi siamo noi e come distinguerci dagli altri? Conosciamo il modello dei grandi imperi e quest’anno celebriamo il centenario della guerra che celebrò il loro fallimento. La loro debole struttura statale rendeva possibili forti autonomie che erano però anche centrifughe e dispersive. Molti si stavano trasformando in monarchie costituzionali che forse sarebbero evolute in federazioni. Ma non ressero l’urto della rivoluzione industriale che richiedeva uniformità di lingua, centralizzazione territoriale, mobilitazione di masse.
Lo stato moderno che nacque dalle ceneri degli imperi inventò l’appartenenza nazionale. La nazione parve brevemente soddisfare le aspirazioni dei popoli e coincidere con i sentimenti di appartenenza definiti dalle lingue. Almeno da certe, quelle che vinsero la battaglia della modernità. Le mitologie nazionali fecero il resto inventando tradizioni aggreganti. Ma gli stati nazionali entrarono presto in una spirale di rivalità e concorrenza per l’accaparramento delle risorse necessarie all’industrializzazione. Le due guerre che distrussero l’Europa e la sua influenza nel mondo ne furono la conseguenza. Nell’ultimo dopoguerra i paesi europei sembrarono così trovare nel progetto europeo una nuova dimensione di appartenenza che salvaguardasse la tradizione nazionale, ponendosi in una prospettiva più alta e inclusiva.
Oggi siamo ancora in questo processo ma ci troviamo davanti a una svolta. Per andare avanti nella costruzione europea serve maggiore integrazione, diluizione dei poteri nazionali e vera cessione di sovranità a istituzioni sovranazionali. Ma gli ultimi allargamenti e poi la crisi finanziaria hanno dimostrato che questa non è una comunità di intenti. Per parti importanti delle opinioni pubbliche europee l’integrazione non è un valore di per sé, per altre, l’adesione deve corrispondere a un vantaggio, altre ancora nell’adesione hanno trovato il recupero di una sovranità perduta che ora non sono disposte a delegare. Perché questa diversità di percezione del progetto europeo venga superata o almeno attenuata, serve ora più che mai un’anima. È la vecchia storia del riconoscersi in un gruppo, in una visione di società e di votarvi la propria lealtà. L’invenzione di un’anima non si improvvisa. Scaturisce dalla frequentazione, dalla condivisione, dalla vicinanza, dalla consapevolezza dei propri interessi, dall’informazione, dall’istruzione, insomma dalla mescolanza di cui anche la migrazione interna è uno strumento.
I partiti antieuropeisti non vogliono questo. Vogliono richiudere i cancelli e rimettere ogni popolo dentro i suoi confini. Come i tre porcellini nelle loro capanne, illudendosi in questo modo di salvarsi dal lupo. Ma la globalizzazione soffierà via ognuna delle loro capanne e forse solo il porcellino grasso tedesco riuscirà a reggere il colpo. La via non è dunque questa. Almeno per i non tedeschi. La via è votare per i partiti autenticamente europei che oggi stanno infine sorgendo e che rappresentano gruppi sociali, non stati, che hanno infine sviluppato una visione europea e in queste chiave affrontano le problematiche attuali. Solo con questo establishment politico riusciremo a sventare il dominio dell’Europa della finanza, delle lobby e delle banche che oggi impera. Votare il populismo antieuropeista vorrebbe dire invece riconsegnare l’Europa proprio a loro, a quegli interessi che loro sì non hanno frontiere e non hanno bisogno di anima. Allora gli altri 27 porcellini saranno preda facile della finanza internazionale, della delocalizzazione, della pauperizzazione, della disoccupazione e le loro bandiere nazionali sventoleranno su palazzi vuoti dove non ci sarà più nessun potere.