Questa Europa così com’è non va bene ai manager. A metterlo nero su bianco è la Cida, la Confederazione sindacale dei dirigenti pubblici e privati, che ieri a Roma ha presentato il programma “L’Europa che vogliamo”. Si tratta di una piattaforma di proposte rivolte ai candidati all’europarlamento. L’iniziativa «è nata – ha raccontato a eunews il presidente della Cida Silvestre Bertolini – perché siamo convinti che l’Italia debba andare in Europa con dei progetti» in grado di far «cambiare marcia» all’Unione.
Sul banco d’accusa è la politica di austerity, che secondo Bertolini «ci sta strozzando». Per il sindacalista dei manager il Fiscal compact, il pareggio di bilancio e l’obbligo di non sforare il 3% nel rapporto deficit/Pil sono obiettivi «irraggiungibili, vanno ridiscussi». Parere più o meno condiviso da tutti i candidati presenti: David Sassoli (Pd), Lorella Zanardo (lista Tsipras), Ines Caloisi (Scelta europea), Carlo Casini (Ncd) e Marco Scurria (Fratelli d’Italia). Sassoli, ad esempio, ha ricordato che «noi in Europa votammo contro il pareggio di bilancio», salvo accogliere con imbarazzo l’obiezione di chi gli ricordava che poi, al Parlamento italiano, il provvedimento è stato approvato anche dal Pd.
Tra gli interventi proposti dalla Cida in campo economico: escludere dai vincoli gli investimenti in innovazione e per le nuove realtà produttive; svalutare l’euro per favorire le esportazioni; adottare gli eurobond per mettere al riparo dalla speculazione i debiti pubblici degli stati membri. Punto, quest’ultimo, su cui Caloisi prende un po’ di distanza: gli eurobond vanno bene, ma solo se «legati agli investimenti strategici».
Un altro aspetto fondamentale per la Cida è il processo di integrazione. «È stato un errore – si legge nel documento presentato ieri – credere che l’unione monetaria fosse il primo passo verso l’integrazione complessiva». La correzione va fatta creando «politiche comuni sotto il profilo fiscale, bancario, della politica estera e di difesa». È concorde Carlo Casini, il quale ha ammonito che «oggi, o si realizza l’unione politica della Ue, oppure l’Europa muore».
Anche sull’energia i manager chiedono un coordinamento, «perché un conto è negoziare la fornitura di 50 miliardi di metri cubi di gas per un Paese – ha sottolineato Bertolini – altro sarebbe negoziarne 500 miliardi per l’intera Ue». Ma per la Cida il coordinamento delle politiche energetiche serve anche per la ricerca di nuove fonti e il potenziamento delle infrastrutture, puntando a una «progressiva autonomia energetica dell’Europa».
In tema di Welfare, Bertolini ha sottolineato l’importanza dei «sistemi pensionistici pubblici, su cui non è accettabile alcuna revisione al ribasso», e ha parlato di «sicurezza sociale come un diritto primario, il cui finanziamento deve essere condiviso e ripartito equamente». Tema caro a Loredana Zanardo, la quale ha rilanciato la proposta di una Tobin tax europea, «perché le riforme economiche vanno fatte guardando alla solidarietà».
Sull’immigrazione, Marco Scurria ha attaccato il trattato di Dublino «che ci penalizza in quanto obbliga i singoli stati a farsi carico autonomamente dei flussi migratori». Su questo aspetto la proposta della Cida soddisfa tutti, non solo il candidato di destra: i confini italiani devono diventare confini dell’Europa, quindi l’Ue deve adottare una politica unitaria anche sull’immigrazione. Certo restano i distinguo tra chi, come Curria, vorrebbe che Bruxelles aiutasse l’Italia a tenere fuori i migranti, e Zanardo che invece vorrebbe un aiuto per accoglierli. Ma l’importante, per tutti, è che l’Europa non ci lasci soli.
Infine, non per ordine di importanza, le proposte dei manager hanno toccato anche la questione delle istituzioni europee, del loro rapporto con quelle nazionali e, soprattutto, della necessità di avvicinarle ai cittadini aumentando la democrazia e la trasparenza. Sotto questo aspetto si è sottolineata positivamente l’iniziativa, adottata dalla maggior parte delle liste, di indicare un candidato alla presidenza della Commissione europea. Un espediente che dovrebbe far pesare la scelta degli elettori non solo sull’organo di rappresentanza (l’Europarlamento) ma anche su quello esecutivo (la Commissione, appunto). Tuttavia, con le previsioni di un forte astensionismo e l’annunciata avanzata dei movimenti nazionalisti, nessuno può garantire che a guidare la Commissione sarà uno dei candidati indicati dalle varie liste. E se alla fine dovessero saltar fuori delle larghe intese anche a Bruxelles, magari con l’ennesima Commissione espressa tecnocraticamente, come la prenderebbero gli europei?