L’Islanda ha rinviato il suo programma di cancellazione della domanda di adesione all’Unione europea. Lo ha comunicato il governo dopo che decine di migliaia di cittadini hanno contestato la decisione dell’esecutivo conservatore di chiudere la trattativa avviata dai predecessori socialdemocratici senza procedere a un referendum.
La scelta del governo di Sigmundur Davíð Gunnlaugsson di abbandonare il processo di adesione, avviato quando l’Islanda era stata travolta dalla crisi bancaria dalla quale uscì anche grazie all’appoggio dell’Unione europea era stata giudicata da molti a Bruxelles come un schiaffo immeritato all’Ue. Il disegno di legge per fermare i negoziati avviati con la richiesta di adesione del 2009 era stato varato all’inizio dell’anno, ma il fatto che non prevedesse il referendum (che era stato promesso in campagna elettorale) dal febbraio scorso ha portato migliaia di persone a numerose manifestazioni di protesta protesta davanti al Parlamento.
Il ministro degli Esteri Gunnar Bragi Sveinsson non sembra voler cedere ai manifestanti e sostiene che “il Parlamento tornerà sulla questione dopo la pausa estiva e approverà il dd così com’è. Si tratta solo di una formalità. Non stiamo facendo negoziati con l’Unione europea e non intendiamo tenerne”.
In realtà si tratta di un vero e proprio braccio di ferro tra l’esecutivo e una larga fetta della popolazione. Ben 55mila persone hanno firmato una petizione che chiede lo svolgimento del referendum. E sono tante, perché gli islandesi, in tutto, sono solo 320mila e i sondaggi indicano che la maggioranza vuole che sia indetta la consultazione. Tra l’altro è anche rilevante, pur se minoritario, il numero di coloro che vorrebbero anche aderire all’Ue: il 37% degli elettori, secondo un sondaggio condotto all’inizio del mese, ed è il livello più alto registrato dal 2009. Il 49% resta invece contrario.