L’Unione europea si schiera ancora con forza al fianco del governo Ucraino, condanna i “tentativi dei militanti filo-russi di destabilizzare la parte orientale e meridionale dell’Ucraina” e afferma che non riconoscerà il referendum che definisce “illegittimo e illegale”. È quanto si legge nelle conclusioni del Consiglio Affari esteri che si è svolto oggi a Bruxelles. Il risultato delle consultazioni di ieri ha portato Bruxelles a scegliere la linea più dura. “A causa della situazione in Crimea abbiamo esteso i criteri di sanzione e aggiunto altre 13 persone alla lista”, nonché “due entità confiscate a Sebastopoli e in Crimea che saranno oggetto congelamento dei beni”, ha spiegato il responsabile della diplomazia Ue Catherine Ashton. “Si tratta di due aziende del settore energetico che sono state nazionalizzate dal governo filorusso, due aziende però non troppo grandi che sono state scelte per fare in modo da non colpire l’intero settore”, ci spiega un alto funzionario europeo. Ulteriori misure, ha spiegato ancora Ashton, saranno prese nel caso non dovessero svolgersi il prossimo 25 maggio “elezioni presidenziali libere”.
L’Unione europea, si legge ancora nelle conclusioni “presterà particolare attenzione all’atteggiamento e al comportamento di tutte le parti” affinché sia assicurato lo “svolgimento di elezioni presidenziali libere ed eque” prima di decidere “possibili misure future”. Anche qui il chiaro riferimento è a un’eventuale interferenza russa nel processo.
L’Ue ribadisice di voler difendere “l’unità, la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina” e invita “la Russia a fare altrettanto” e per questo le chiede di “richiamare le truppe dal confine ucraino e ritirare immediatamente il mandato del Consiglio della Federazione ad usare la forza sul suolo ucraino”.
Bruxelles continua ad essere indulgente nei confronti delle milizie nazionaliste ucraine cui il testo delle conclusioni del Consiglio Affari esteri non fa mai esplicito riferimento. Riguardo ad esempio alla strage di Odessa, dove il 2 maggio scorso oltre 40 persone disarmate che si erano rifugiate nell’edificio del locale sindacato, sono state bruciate vive dai neonazisti Pravi Sektor, le conclusioni non fanno altro che fare propria la linea del premier Arseniy Yatsenyuk, chiedendo che sui “tragici eventi” che hanno portato “molti morti e feriti” si svolgano “accurate indagati e i responsabili siano assicurati alla giustizia”. Ma per il resto il testo non fa alcun riferimento esplicito alle diverse milizie paramilitari presenti nel Paese. Milizie che pure, secondo gli accordi di Ginevra, dovrebbero essere disarmate. Milizie che proprio ieri a Krasnoarmeisk, 80 chilometri da Donetsk, la “capitale” dei ribelli filo russi, come ha testimoniato una giornalista italiana presente sul posto, hanno sparato su civili inermi uccidendone uno e ferendone diversi. Invece quando si parla dei separatisti pro russi gli Stati membri condannano chiaramente “il sequestro degli edifici pubblici, rapimenti, omicidi e violazione della libertà dei media da parte di gruppi armati illegali”.
“Gli stati si limitano a condannare le violenze nel loro complesso cercando di far capire che non esiste una violenza buona e una cattiva”, ma preferiscono non fare nomi e cognomi di politici ucraini, né nominare le organizzazioni nazi fasciste da questi controllate per “evitare dare accondiscendenza a una deriva separatista vista come negativa”, ci spiega l’alto funzionario europeo. Insomma si tace sui “cattivi” ucraini sperando che la situazione non degeneri e che le elezioni riportino un po’ di normalità. Ma non è così che Bruxelles riuscirà a tranquillizzare i cittadini russofoni dell’Ucraina che si sentono abbandonati dall’Europa e vedono sempre più nell’opzione separatista l’unica maniera per trovare quella sicurezza che Kiev non sembra riesca più ad assicurargli.