Vladimir Putin cambia volto e dopo l’incontro di ieri a Mosca con il presidente di turno dell’Osce, lo svizzero Didier Burkhalter, apre improvvisamente al dialogo per una soluzione pacifica alla crisi ucraina. Il presidente russo si rivolge direttamente ai rappresentanti del sud-est del Paese chiedendo di rinviare i referendum per la secessione in programma per questa domenica: in questo modo, spiega, si potranno creare “le condizioni per un dialogo”. Non solo: il capo del Cremlino cambia toni anche sulle presidenziali del prossimi 25 maggio per eleggere il nuovo governo di Kiev. Dopo avere bollato come “bizzarra” l’idea di tenerle in una tale situazione di scontri e tensione, ora Putin le definisce “un passo nella giusta direzione” anche se occorre assicurare ai cittadini ucraini che “i loro diritti saranno tutelati dopo queste elezioni”. A dimostrazione della nuova volontà di collaborare Putin annuncia anche il ritiro delle truppe schierate al confine con l’Ucraina : “Ci sono state esposte preoccupazioni costanti per le nostre unità alla frontiera – ha detto – e le abbiamo ritirate. Oggi non si trovano più lì ma in aree dove svolgono regolare addestramento”.
Segnali di distensione accolti positivamente ma su cui prevale lo scetticismo. Se da Berlino il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier parla di “tono costruttivo” e di “momento decisivo” per arrivare a una de-escalation con mezzi diplomatici, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, fa invece sapere di non avere rilevato alcun segnale di un ritiro delle truppe russe dalla frontiera con l’Ucraina. Per la Casa Bianca, poi, l’appello al rinvio del referendum non è comunque sufficiente: deve essere annullato e non semplicemente rinviato, ricorda Washington.
“Abbiamo preso buona nota delle affermazioni di Putin”, commenta anche Maja Kocijancic, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton: “Si tratta – ha detto – di un passo che potrebbe aiutare la de-escalation, ma vedremo se alle parole seguiranno i fatti”. Anche per l’Ue il referendum “non deve avere luogo né l’11 maggio né in nessun altra data perché non ha alcuna legittimità democratica e può solo portare a una ulteriore escalation”. Senza dichiararlo apertamente Bruxelles fa anche capire di credere poco alle affermazioni di Putin, che ha detto di non avere più il controllo sui militanti filorussi attivi nell’est del Paese: “I separatisti hanno sempre avuto l’appoggio della Russia, per questo ci siamo rivolti a Mosca per chiedere di esercitare la sua influenza”, ha sottolineato la portavoce di Ashton.
Anche a Bruxelles, insomma, sembra prevalere l’ipotesi secondo cui la marcia indietro del leader del Cremlino sarebbe un modo per scrollarsi di dosso le responsabilità lasciando ufficialmente l’iniziativa ai separatisti. Secondo altri, invece, Mosca si sarebbe davvero decisa a cercare una via d’uscita dalla crisi.
I ribelli filorussi della regione di Donetsk hanno intanto fatto sapere di avere deciso, nonostante l’appello di Putin, di non rinviare il referendum sull’indipendenza della regione. Lo stesso hanno fatti i separatisti della regione di Lugansk: “Il referendum si terrà l’11 maggio, ci stiamo preparando, stiamo stampando le schede elettorali, tutto procede”, hanno ribadito.