Un dibattito “sui benefici e sui costi di vivere con una moneta unica è benvenuto”, ma non dobbiamo dimenticare che “la crisi non sarebbe stata così severa se ci fosse stata più integrazione”. La soluzione quindi “non è tornare indietro verso le economie nazionali, ma andare avanti e spingere per un’integrazione ancora maggiore”. È il pensiero che Mario Draghi ha espresso oggi a Bruxelles al termine del Consiglio direttivo in cui, come previsto, la Banca centrale europea ha deciso di lasciare il suo tasso di riferimento al minimo storico dello 0,25%. Una decisione scontata, visto che a giugno la Bce pubblicherà una serie di indicatori macroeconomici sullo stato di salute dell’Eurozona e solo allora deciderà se intervenire “anche con misure non convenzionali”, ha ribadito ancora Draghi, contro il rischio di un periodo di bassa inflazione prolungata.
Per il governatore “grazie all’integrazione europea negli ultimi 20 anni abbiamo raggiunto diversi traguardi”, ma “non possiamo per questo riposare sui ricordi dei passati successi”, dobbiamo anzi guardare al futuro. E nel farlo dobbiamo capire che l’integrazione si è dimostrata valida “per l’efficienza” ma è stata lasciata indietro in questo processo “la dimensione dell’equità”. Ora l’Europa deve essere capace, se vuole battere l’euroscetticismo, di dire “come può creare lavoro e assicurare stabilità”.
Nel farlo non si deve però abbandonare la strada delle riforme, anche in quei Paesi, come l’Italia, in cui i benefici di queste ultime ancora non si sono visti. “Paesi come Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda hanno fatto diverse riforme strutturali e ora ci sono tutti i segni di ripresa”, ha affermato Draghi, pur riconoscendo che le riforme “certamente non sono facili, anzi dolorose”, ma “sembra che davvero ci siano poche alternative”.
E anche gli obiettivi di bilancio non sono facili da raggiungere, con Paesi come Italia e Francia che ad esempio stanno chiedendo più tempo per raggiungere il 3% nel rapporto tra Deficit e Pil. “Se sia possibile o no concedere questo tempo non sta a me dirlo”, afferma Draghi, che però ricorda che “all’inizio del 2000 le regole furono violate da Francia, Italia e Germania” e questo ha portato poi altri Paesi a sentirsi autorizzati “ad accumulare debiti che poi, per alcuni non tutti, sono diventati insostenibili”, come sono insostenibili “certi livelli di deficit”. Insomma per Draghi la conclusione è semplice: “Minare la credibilità delle regole non è mai buona cosa”.