L’Europa del digitale non è rosa e neppure competitiva. Nei percorsi di studio e nelle professioni legate al settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) la presenza femminile è ancora a livelli troppo bassi. Appena 29 laureate su 1.000 conseguono un diploma universitario di primo livello nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (contro 95 uomini su 1.000) e solo 4 su 1.000 lavorano effettivamente nel comparto. Inoltre solo il 19,2% degli addetti del settore dell’Ict ha un capo donna, contro il 45,2% in altri settori. Un problema non solo di pari opportunità, ma anche economico: con un’inversione di tendenza e una percentuale femminile nel comparto digitale pari a quella maschile, il Pil europeo registrerebbe un incremento di circa 9 miliardi di euro l’anno. Anche perchè il mercato chiede manodopera specializzata che l’Europa non riesce a fornire.
E’ quanto rilevato da European Schoolnet – la rete dei ministeri dell’Istruzione dei paesi europei – e DigitalEurope – l’organizzazione delle industrie di settore – alla vigilia della III conferenza sulle capacità digitali, in programma il 6 maggio ad Atene. Ospitata dalla presidenza greca dell’Ue e organizzata col sostegno della Commissione europea, la giornata rappresenta uno degli appuntamenti di “e-Skills for jobs 2014”, il programma della Commissione europea appositamente pensato all’agenda digitale.
In Europa i conti non tornano. Nonostante la crisi – rilevano European Schoolnet e DigitalEurope – solo nel 2011 le tecnologie dell’informazione hanno prodotto sei milioni di posti di lavoro a livello globale. L’Europa però non ha colto questa opportunità, tanto è vero che entro il 2015 nell’Ue si prevedono 900mila posti vacanti nel comparto dell’Ict. C’è una domanda inascoltata, e questo anche per via del poco spazio lasciato alle donne. Nell’Unione europea solo Slovacchia, Ungheria e Lettonia vantano più donne che uomini impiegate nel settore dell’Ict tra quanti hanno conseguito un titolo di studio mirato.
E se in alcuni paesi il divario è poco accentuato (in Lussemburo il 17,1% degli addetti nel settore è rappresentato da uomini, l’11,7% da donne), in altri il “gap” è fortemente marcato. E’ il caso dell’Italia (21,5% uomini e 9% donne ), della Polonia (20,4% contro 7,3%), della Slovenia (36,9% contro 2,5%) e del Regno Unito (26,3% contro 9,2% ), solo per citare i più eclatanti. La conferenza di Atene di martedì vuole contribuire alla correzione di una cattiva abitudine sollevando il problema di una domanda crescente di forza lavoro specializzata e qualificata a cui non si sta rispondendo nonostante gli alti livelli di disoccupazione.