Le sanzioni economiche contro la Russia non sono più rinviabili. Se si vuole trovare una soluzione alla crisi ucraina sono, al contrario, una decisioni obbligata. L’ex presidente ucraino Viktor Yushchenko, esorta l’Unione europea a compiere quel passo finora rimasto solo sulla carta e nelle minacce verbali. “Le sanzioni di terzo livello sarebbero una risposta importante e significativa alla crisi”, sostiene in occasione della conferenza stampa tenuta con il presidente del Comitato economico e sociale europeo, Herni Malosse, a margine della sessione plenaria del Cese. “Mosca sta attuando una politica neo-imperialita” per rispondere ai problemi interni, sostiene l’ex presidente ucraino. “La più grande paura della Russia è la reazione del proprio popolo, e con le sanzioni previste dalla terza fase la leadership russa subirebbe un duro colpo”.
L’Europa però si è finora mossa in altro modo. Malosse concede all’ospite l’intera scena, ma non senza difendere le posizioni europee. “Decretare sanzioni mirate contro persone che si sono rese responsabili della violazione dei diritti umani è qualcosa che sosteniamo”, ribadisce il presidente del Cese. “L’Unione europea ha agito correttamente, con azioni continua, decisioni rapide e la dimostrazione della volontà di aiutare l’Ucraina”. L’unica cosa che manca, e che continua a mancare, è una posizione univoca. “Ci sono voci diverse sulla stessa questione”, lamente Malosse. “A Berlino si dice una cosa, a Londra un’altra, a Parigi un’altra ancora. In questo modo per Putin è facile scegliere le posizioni europee che più gli fanno comodo”.
A Putin la sola cosa che ha fatto comodo è il controllo di Kiev. Alla base dei problemi dell’Ucraina c’è il cambio di politica: lo spostamento a ovest è stato ritenuto stroppo spregiudicato, un tentativo inopportuno quanto illegittimo di sottrarsi all’influenza russa. In questo Yushchenko, presidente dal 2005 al 2010, ha giocato un ruolo non irrilevante. La stampa glielo fa notare: quanto è responsabile Yuschchenko per quanto sta accandendo oggi? “Sono entrato in carica e la pensione minima era di 10 dollari, ho lasciato la carica e la pensione minima era dieci volte più alta di quanto sono diventato presidente. Di questo sono responsabile. E sono responsabile di due elezioni parlamentari, riconosciute da tutti come libere e regolari”. Nessuna colpa, solo “l’essere fiero” di aver traghettato la giovane repubblica post-sovietica – o quanto meno di averci provato – verso l’Europa. “Sono contento che il processo avviato nel 2005 sia stato portato a compimento con l’accordo di associazione. E’ un grande onore”. Yuschchenko risponde anche a quanti sostengono che gli ucraini stessero perpetrando politiche anti-russofone in Crimea. “Lì c’è solo una scuola ucraina, per il resto sono tutte russe. E non c’è una biblioteca o teatro ucraino, ma ci accusano di politiche anti-russe. E’ qualcosa di non vero”.
Yushchenko non lo ricorda, probabilmente per non creare imbarazzi a un’Europa la cui risposta non è ritenuta sufficientemente incisiva, ma il problema vero è che l’Europa ha sottovalutato la Russia, o forse più semplicemente non ha saputo cogliere il senso delle parole che il presidente russo, Vladimir Putin, pronunciò a Bucarest sei anni fa in occasione del vertice Nato. Allora, il 2 aprile 2008, Putin parlò dell’Ucraina come di un paese artificiale, frutto dell’unione di territorio strappati a più paesi: terre sottratte a Polonia, Cecoslovacchia e Romania dopo la seconda guerra mondiale, e territori russi concessi dall’Urss durante il periodo sovietico, tra cui la Crimea. Sei anni fa Putin avvertì il mondo. “Non abbiamo diritto di veto e probabilmente non lo pretenderemo mai, ma per tutti dovrà essere chiaro che quando si prendono decisioni sull’Ucraina bisogna considerare che lì ci sono anche in nostri interessi”. Era scritto nel discorso pronunciato al summit della Nato. Oggi, fonti comunitarie ammettono che “la Russia è stata sottovalutata, e a quelle parole non è stato dato il giusto peso”.