Parlare di Europa del 2004 vuol dire ricordare una forza ed un dinamismo del Continente davvero unici. Un appeal straordinario e sempre crescente, quello di quegli anni, che portò Bruxelles a festeggiare la più importante riunificazione della storia europea. Perché di questo si trattò. Non fu allargamento, ma riunificazione: 10 Paesi e ben 75 milioni di nuovi cittadini videro nella data storica del primo maggio l’occasione per tornare a casa, in quell’Europa da cui erano stati divisi durante la crisi dei due blocchi, ma nelle cui radici non avevano mai smesso di riconoscersi.
Certamente con la riunificazione era cambiata la fisionomia geografica dell’Europa, così come il suo baricentro e la posizione politica ed economica. Ma ciò che più colpiva erano le grandi opportunità che una trasformazione così importante stava portando a tutti cittadini, senza alcuna distinzione tra “vecchi” e “nuovi”.
A dieci anni da quel grande cambiamento e a poche settimane dalla più importante sfida elettorale di Bruxelles, bisognerebbe ricordare a chi trascende verso il qualunquismo che cosa era l’Europa prima di quella data: una cartina fatta di barriere doganali. Conquiste che spesso si danno per scontate – se pensiamo alla libera circolazione, alla moneta unica o al mercato comune -, ma che rappresentano, tutt’oggi, gli investimenti sicuri che i leader di allora hanno voluto fare per la prosperità, lo sviluppo e la coesione delle future generazioni.
L’Europa divenne allora una sorta di assicurazione per la vita: dopo la caduta del muro ed il rischio di disgregazioni, nazionalismi e scontri etnici, il Continente aprì le porte di casa e regalò una nuova speranza.
Ieri come oggi serve il linguaggio della verità e non del populismo. Nessuna capitale europea, nemmeno i Paesi più forti possono pensare di navigare da soli nell’oceano della globalizzazione. Chi predica slogan anacronistici vuol dire che non è mai stato a Belgrado – che ha da poco avviato i negoziati di adesione – dove il colore blu è diventato il simbolo di speranza e fiducia per il futuro. O non ha mai visto uomini, donne e bambini impazzire di gioia per l’abbattimento di barriere storiche come quelle al confine tra Polonia e Germania, quelle marittime sul mar Baltico, o ancora quelle che dividevano in due addirittura una città italiana, Gorizia dalla sua sorella slovena Nova Goriça.
Abbiamo regalato a tutti un sogno. Un sogno che è diventato storia, ma anche sicurezza, benessere e libertà. Ecco perché sarebbe irrispettoso rispondere alle crisi di oggi con un’alzata di spalle. L’Europa ha innanzitutto bisogno di leader valorosi e lungimiranti che, seppur nei difficili scenari che ci aspettano, soffochino la paura ed abbiano visione.
Serve un’Europa che non vada più in ordine sparso sulla politica estera – come è accaduto all’inizio della crisi in Ucraina o dinanzi alle prospettive di una escalation di guerra in Siria, o persino sul tema del riconoscimento dello status palestinese alle Nazioni Unite o, ancora, sulle prospettive di soluzione del negoziato tra Palestinesi e Israeliani. Un’Europa dove i diritti e le aspirazioni dei popoli prevalgano sulle regole formali e sui principi formalistici.
Il processo di riunificazione è ben lungi dal potersi considerare completato: nel 2014 l’Europa deve essere ancora l’opportunità e non il problema.
Franco Frattini, già ministro degli Esteri e Vice Presidente e Commissario dell’Unione Europea