Tra i candidati alla presidenza della Commissione europea uno è decisamente migliore degli altri, ma, come gli altri, non otterrà il posto. Probabilmente nessuno degli attuali cinque concorrenti (che sono sei perché i verdi sono due, ma diciamo che contano per uno) salirà nell’ufficio più grande del Berlaymont. Il Governi diranno la loro, pesantemente combatteranno contro la volontà del Parlamento di affermarsi, i candidati stessi non hanno le caratteristiche necessarie, nel bene e nel male. Uno di loro però avrebbe molto da dare all’Unione anche se, personalmente, non l’ho mai votato.
Parlo di Guy Verhofstadt, liberale, per nove anni premier del Belgio, da cinque capogruppo Alde al Parlamento europeo, un gruppo che potrebbe sembrare unito, nel quale invece c’erano spaccature profonde e che non è stato facile governare. Con Jean-Claude Juncker è l’unico che sia stato premier (nessuno degli altri è stato nemmeno ministro) e dunque ha una solida esperienza di Consigli europei, li ha visti, li ha fatti, non li ha solo commentati, e non è stato solo ospite per la prima mezz’ora come capita al presidente del Parlamento.
E’ un’esperienza che ci vuole, non scherziamo. Non si può arrivare come massimo responsabile delle politiche dell’Unione in un consesso nel quale non si è mai messo piede, del quale non si conoscono i meccanismi, nel quale si è anche sconosciuti. Oddio, non è che il premier del Belgio o del Lussemburgo siano dei protagonisti sulla scena mondiale, ma questo abbiamo e con questo ci dobbiamo misurare, neanche la maggior parte degli altri in Europa lo sono. Il discorso “rinnoviamo” non regge, qui ci si trova da un giorno all’altro a guidare una Ferrari (magari un po’ scarburata) della politica mondiale, e non si può improvvisare. E non ci si può arrivare senza essere sintesi in Parlamento tra forze diverse, per questo i verdi e la sinistra sono realisticamente esclusi in partenza (anche se come dimensioni dei gruppi magari batteranno i liberali). Schulz ha il pesante handicap di non essere mai stato membro di un governo e anche di non avere molti amici nelle cancellerie europee, sembra neanche in quella tedesca.
Juncker è persona stimabile. Fu il primo, nel 2008, da presidente dell’Eurogruppo, ad ammonire sui rischi che la crisi, allora appena iniziata ed ancora indolore, avrebbe portato alla coesione sociale, perché aveva visto i pericoli per i lavoratori. Sapeva guardare lontano. Poi si è scontrato con Angela Merkel e il suo astro è sceso. E’ stato coinvolto in una storia (per noi italiani ridicola) di intercettazioni e di servizi segreti infedeli ed ha anche perso il posto di premier. E’ un uomo con un grande passato dietro alle spalle, che si è fatto puntellare dalla cancelliera, ai cui programmi economici si è completamente piegato, per correre ad un posto che lui, a quanto pare, neanche vuole davvero occupare, e punta piuttosto al Consiglio: meno lavoro, meno stress. Diciamo la verità, Juncker ha perso smalto e carisma, appare stanco, anche le sue famose battute fulminanti sono sempre più rare, i suoi tempi di reazione si son fatti lenti. E non ha la forza di affermare un nuovo progetto, soprattutto. Non riesce a scrollarsi di dosso le responsabilità dell’austerity, che lui ha appoggiato (di malavoglia, ma lo sanno in pochi) da premier e da presidente dell’Eurogruppo. Rappresenta il passato, ma non (più) la solidità di un rifugio nel quale abbandonarsi.
Verhofstadt ha l’esperienza per sedersi in quel consesso, è stato alla guida di un governo e dell’Unione, però è belga, come l’attuale presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, e questo è uno dei motivi che giocano a suo sfavore. Poi ha già corso, con regole diverse, alla presidenza della Commissione e la Gran Bretagna lo ha stoppato, perché lo teme, perché è troppo “europeista”. Però fa parte dei “mainstream” del Parlamento (e questo a nostro giudizio è un limite) ma è certamente quello che ha il programma più approfondito, che ha lavorato più a lungo a definire la sua idea di Europa. L’ho detto, non sono liberale, ma il suo programma per l’economia, è frutto di un cammino e di un lavoro di affinamento di anni, fatto da solo, ma anche insieme a Daniel Cohn-Bentit, che certo non è un centrista, e a Mario Monti, che certo non è un uomo di sinistra, e forse neanche di centro, e pure a Romano Prodi, che è campione del centrosinistra. Verhofstadt è stato parlamentare in questi anni, quindi certo più libero di un governante, ma dai rischi dell’austeirty ha messo in guardia da anni, mentre invece punta sulla forza “di scala” dell’Unione per ritornare alla crescita, insieme. Anche per questo non sarà mai presidente della Commissione europea.
Però potrenmmo sbagliarci, magari una (per lui) felice combinazione dei risultati elettorali potrebbe farlo diventare l’ago della bilancia.