È stato un successo, soprattutto in rete, il dibattito in diretta in tutta Europa su EuroNews tradotto in ben 13 lingue tra 4 candidati alla Presidenza della Commissione europea: il popolare Jean-Claude Juncker, il socialista Martin Schulz, il liberale Guy Verhofstadt e la verde Ska Keller. Durante la diretta iniziata alle 19 l’hashtag #Eudebate2014 è diventato in breve tempo trend topic con migliaia di tweet ogni minuto. Guardando la mappa della partecipazione su Twitter si nota il pressoché totale disinteresse dei francesi e la grande partecipazione di austriaci, tedeschi, inglesi e dei tre grandi Paesi del sud: Spagna, Italia e Grecia. Un motivo in più per cui è stato sicuramente un errore da parte di Alexis Tsipras, il candidato della Sinistra unita, la scelta di declinare l’invito e lasciare tutta la scena agli altri quattro.
In generale, soprattutto all’inizio, il dibattito è stato piuttosto confuso a causa anche dei tempi di risposta troppo brevi concessi ai partecipanti (spesso solo 20 secondi) che facevano saltare velocemente da un argomento all’altro e costringevano tutti a parlare solo per slogan. Se bisogna stilare una classifica dei partecipanti possiamo dire che il vincitore è stato sicuramente Verhofstadt, più brillante, spigliato, capace di guadagnarsi la scena e soprattutto di dare risposte concrete. In affanno più di tutti Juncker, incapace di seguire i ritmi televisivi e che ha dato per tutto il tempo l’impressione di essere il “vecchio” della politica che citava se stesso quando aveva fatto questo e quello. Nel mezzo un Martin Schulz non in ottima forma, lui che è sicuramente un uomo dei media si è addirittura innervosito con la giornalista che introduceva la candidata Verde sottolineando la sua giovinezza, dicendole: “Non parliamo di età dei candidati, ma di contenuti!”. E poi Ska Keller che, nonostante si sia dimostrata chiaramente molto più fresca degli altri, e nonostante abbia azzeccato qualche intervento ad effetto (uno su tutti quello sul debito: “Invece di pensare solo ai debiti degli Stati pensiamo al debito che stiamo lasciando alle nuove generazioni non investendo ma tagliando i fondi alla formazione”), non è stata capace di entrare mai nel merito delle questioni. E così in mezzo a tre vecchi marpioni della politica ha fatto la figura della giovane che all’università dà risposte vaghe perché non è preparata sull’argomento. Come facciamo a riconquistare consenso verso l’Europa? Le chiedono. “Dobbiamo ascoltare i cittadini” risponde (e verrebbe voglia di scrivere la gggente, con tre g). E sulla politica estera? “La politica estera non si fa con le guerre, ma anche con la cooperazione allo sviluppo”, dice con un altro bel colpo ad effetto, che però poi rovina aggiungendo: “Dobbiamo ascoltare i Paesi in via di sviluppo”. Un’altra volta la storia di ascoltare?
Verhofstadt è l’unico che invece anche a domande vaghe ha provato a dare risposte più concrete ma senza entrare troppo nel tecnico che poi diventa difficile da capire. Ha parlato della mobilità dei lavoratori per la quale bisogna “trovare un giusto equilibrio” e ha fatto l’esempio britannico dove ha detto che “è stata infondata la paura di invasioni dei rumeni”. Gli hanno fatto la domanda sul federalismo e lui ha risposto: “Io ci credo ma non deve voler dire più burocrazia anzi ci vogliono meno regolamentazioni sul mercato interno” e ha fatto due esempi: “Oggi anche il colore della benzina è regolamentato e deve essere uguale in tutta l’Ue” mentre “se ho casa in uno Stato del nord non mi vale come garanzia per avere un prestito in uno Stato del sud”. Inoltre appena poteva attaccava i suoi colleghi, come quando parlando del rischio di crescita dell’estrema destra ha detto a Juncker: “Nel Ppe c’è gente come Berlusconi che fa battute sui campi di sterminio e vuole uscire dall’euro e anche personaggi come Orban che cambiano la costituzione ogni mese per i propri interessi. Come possono loro combattere l’estrema destra se ce l’hanno all’interno?”. Juncker è stato costretto a incassare ribadendo, timidamente, di aver criticato l’ex Cavaliere.
Schulz, seppur sotto tono, è stato molto applaudito (non sappiamo se avesse una claque) soprattutto nei suoi interventi a favore di un’Europa più sociale. Ha ripetuto i suoi slogan della campagna elettorale dicendo “dobbiamo pensare a chi guadagna mille euro e non parlare solo di miliardi”, “non dobbiamo ringraziare gli Stati che hanno tenuto i conti in ordine ma quelli che hanno fatto tanti sacrifici durante la crisi”, “l’espressione ‘rifugiato economico’ non mi piace, noi dobbiamo fare come i Paesi famosi per l’immigrazione come Canada e America che hanno regole chiare sull’argomento, dobbiamo averle anche noi e proteggere chi scappa dalle guerre come i siriani”. In politica estera Schulz si è dimostrato onesto poi quando ha riconosciuto gli sbagli di Bruxelles nella gestione della crisi Ucraina: “Yanukovic ha detto no all’accordo con l’Ue ed è andato verso la Russia che gli ha promesso i 15 miliardi. Dopo tutto quello che è successo ora i miliardi li stiamo dando noi all’Ucraina, forse avremmo dovuto darglieli allora e convincerli subito a firmare l’accordo”.
Juncker, timido e un po’ spaesato, ha ribadito (e questo con coraggio, bisogna riconoscerlo) che le misure adottate contro la crisi sono state giuste perché sennò a suo avviso staremmo peggio. Cosa non certo popolare da dire oggi. Ha difeso l’euro affermando che la crisi “non è stata crisi della moneta ma del debito”, e che ora bisogna “sostenere l’economia reale e garantire un salario minimo”. Sugli immigrati ha detto che “non possiamo tutelare sul nostro territorio tutto quello che succede, ma dobbiamo mostrare solidarietà”. In generale non ha brillato molto nei suoi interventi, tranne forse nel finale quando ha sentenziato: “I cittadini sono interessati alle soluzioni non alle istituzioni”. Quelle soluzioni di cui, in questo dibattito, si è parlato veramente poco.
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