Intervista al nuovo presidente dell’Ama, la municipalizzata dei rifiuti della capitale: “Il nuovo governo deve dare vita a un’azione efficace e tempestiva per evitare di perdere milioni”. E su Roma : “Porteremo la differenziata al 65% entro il 2016, obiettivo ambizioso ma realizzabile”
Il sindaco Ignazio Marino lo ha scelto per guidare l’Ama, la municipalizzata dei rifiuti di Roma, la più grande d’Italia. Lo chiamano il “super presidente” perché unirà la carica di presidente a quella di amministratore delegato. Ma questo appellativo Daniele Fortini se lo è guadagnato anche perché nella gestione dei rifiuti ha sempre avuto un ruolo da trincea. Alla testa della napoletana Asìa dal 2008, negli anni più duri della crisi “munnezza”, e da poche settimane nell’azienda capitolina dove dovrà gestire un’altra patata bollente: mettere in piedi il nuovo ciclo dei rifiuti con la tagliola che pende sulla testa di una possibile infrazione comunitaria per la discarica di Malagrotta.
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti Lazio e Campania sono osservati speciali a Bruxelles
“Le sanzioni minacciate sembrerebbero in dirittura d’arrivo e sono particolarmente pesanti, bisogna fare ogni sforzo per evitare che vengano applicate. La crisi politica in atto non aiuta, il mio auspicio è che ci sia un’iniziativa del nuovo ministro dell’Ambiente che veda il coinvolgimento del futuro premier. Un’iniziativa tempestiva ed esaustiva”.
Che cosa rischiamo?
“Le multe sono di circa 20 milioni di euro per ciascuna delle infrazioni, quella per il Lazio e quella per la Campania. In tutto quindi 40 milioni di euro a cui si aggiungeranno, quando diventeranno esecutive, 625mila euro al giorno fino a quando non ci metteremo in regola. In un anno sono oltre 200 milioni di euro che rischiano di andare in fumo”.
C’è modo di evitarle?
“Bisogna agire in fretta, il tempo per farlo è poco ma c’è. Bisogna risolvere il tutto prima che le multe diventino esecutive. Il fatto è che, anche se le infrazioni in sé sono meritate, riguardano problematiche del 2010. Nel Lazio le cose sono leggermente migliorate e va molto meglio in Campania dove la differenziata è arrivata al 50% e da questo punto di vista le richieste di Bruxelles sono state rispettate. Ma lì resta il problema delle ecoballe di Taverna del re e di altri 24 siti che non sono state smaltite e non c’è ancora un piano per farlo”.
Marino le ha dato l’incarico di portare la differenziata al 65% entro il 2016. Con queste tempistiche non le sembra un obiettivo un po’ troppo alto in una città che produce ogni anno 1milione 800mila tonnellate di rifiuti?
“Beh certo vuol dire che dovremmo affidare al recupero della materia almeno 1 milione 400mila tonnellate, ma secondo me è un obiettivo ambizioso ma fattibile. A gennaio siamo al 39%, un risultato eccellente in una città come Roma. C’è una coscienza molto diffusa in tutti i cittadini che la raccolta differenziata si deve fare. Dobbiamo però far percepire che c’è anche una convenienza e per farlo dobbiamo usare due leve: incentivi e penalizzazioni, per fare in modo di favorire comportamenti virtuosi”.
Punterete sul porta a porta?
“Il porta a porta è un modello che permette di stare più vicini al luogo in cui viene prodotto il rifiuto e che permette di avere materiale riciclabile di migliore di qualità, ma non va bene dappertutto. Comunque sarà il nostro modello preferenziale”.
Marino ha detto che non vuole costruire termovalorizzatori, su che tipo di impianti punterete per lo smaltimento?
“Innanzitutto impianti di compostaggio. A Roma ci sono 500 mila tonnellate di rifiuti organici e abbiamo bisogno assolutamente di questi impianti. Non possiamo fare come Napoli che è costretta a portarli in Veneto piuttosto che in Piemonte. Poi impianti di selezione per valorizzare le materie secche, cellulosa, vetro e quant’altro. L’indifferenziato dovrà andare nei Tmb (Trattamento meccanico-biologico, ndr) ma l’esito può essere diverso di quello di oggi, dobbiamo raffinare la biomassa, la parte umida”.
Volete puntare sulla produzione di energia ‘a freddo’ quindi?
“Sì, sugli impianti a biomassa, ma non necessariamente costruendoli a Roma. In Italia ce ne sono in abbondanza e sono pronti a ricevere rifiuti”.
A Napoli obiettivi molto ambiziosi si sono scontrati purtroppo con una situazione economica che non ha permesso di metterli in pratica
“La situazione non era affatto semplice ma lo sforzo fatto dal Comune di Napoli è stato impressionante. È vero che abbiamo dovuto indebitarci con le banche per avere le risorse per fare la differenziata, però è anche vero che l’amministrazione è stato capace di fornire all’azienda le risorse finanziarie per la gestione corrente. In buona sostanza oggi l’azienda vanta un credito verso il comune di 200 milioni di euro e ha debiti con banche e fornitori per 170 milioni. Se il Comune potesse pagare domani mattina, l’azienda sarebbe in ordine e avrebbe anche soldi per sviluppare ulteriormente la raccolta”.
E a Roma la situazione dell’Ama com’è?
“La situazione debitoria dell’azienda è molto preoccupante, c’è un piano di rientro dal deficit accelerato che ogni anno ci costa diverse decine di milioni di euro da restituire, e sono soldi che dobbiamo togliere dagli investimenti. È chiaro che così la raccolta cresce con più fatica”.
I problema dei rifiuti non riguarda solo Napoli o Roma, ma diverse zone d’Italia, soprattutto al sud. Quali sono i problemi principali che ostacolano uno corretto sviluppo di un ciclo integrato funzionante?
“La principale difficoltà nel mezzogiorno d’Italia è determinata dall’arretratezza del sistema economico. Nel nord le antiche aziende municipalizzate, che hanno anche 100 anni, hanno cominciato con la raccolta dei rifiuti da portare in discarica, poi sono passate agli inceneritori, differenziata e così via fino agli impianti di compostaggio. Ci sono stati soggetti industriali che hanno accompagnato i comuni assecondandoli nella loro volontà. Nel mezzogiorno la gran parte dei servizi è gestita da privati che vincono gara per un tot di anni e poi se ne vanno. La volontà politica di bravi amministratori locali si è scontrata con debolezza del sistema economico che non ha permesso di sviluppare buone pratiche”.
E poi?
“L’altra difficoltà è la presenza della criminalità organizzata, una presenza asfissiante. Chiunque vuole creare un piccolo impianto o una piccola attività deve fare i conti, purtroppo, con taglieggiamenti, minacce, ricatti. E questo è un problema nazionale”.
Per ridurre i rifiuti non riciclabili si dovrebbe anche puntare a produrre materiale più ecologico come le bioplastiche
“Anche qui però c’è un problema, che fondamentalmente è quello dei costi. In Italia abbiamo delle produzioni di eccellenza per quanto riguarda la bioplastica ma se vai in un supermercato e devi comprare stoviglie per una festicciola, i prodotti fatti con plastiche derivanti dal petrolio costano un terzo di quelli da lavorazioni bio. C’è un problema di incentivazione e di riduzioni dei costi industriali che mancano per rendere questi prodotti competitivi sul mercato. Dopo di che io sono dell’opinione che dovrebbero essere vietate le stoviglie in plastica non riciclabile”.
Alfonso Bianchi
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