Il grande allargamento dell’Unione Europea, nel 2004, ha coinvolto Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia. È stato, innanzitutto, un avvenimento di pace. Basti dire che sette degli Stati interessati erano membri dell’ex blocco orientale.
Se vogliamo, l’evento corrisponde alla vera natura dell’Ue. All’indomani della Seconda guerra mondiale, il Piano Marshall, la creazione della Ceca e poi della Comunità Europea rispondevano, in primo luogo, infatti, alla costruzione di un’area di benessere economico che disinnescasse gli incentivi al conflitto tra i Paesi europei. Il processo di integrazione europea, quindi, nasceva come una missione di pace. L’Olocausto, tragedia immane, è stata paradossalmente il fondamento per la costruzione dell’Europa. Perché a seguito della guerra e di quella barbarie, si sono gettate le basi per superare le cause che hanno portato a quel disastro ovvero i nazionalismi politici. E la ricetta per guarire da quel cancro è stata l’idea di un progetto comune che passasse dapprima attraverso una condivisione di politiche economiche.
Nel 2012 il Premio Nobel per la pace è stato vinto da un’istituzione, l’Unione Europea, per aver contribuito “all’avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa”. Quel conferimento sta dunque a significare che, nonostante la fine della Guerra fredda, l’Unione Europea ha mantenuto il ruolo di pacificatore ed è stimolata a continuare l’importante missione. Detto questo, la domanda da porsi è la seguente: l’Ue deve continuare la sua spinta verso Est? Deve aprirsi, per fare degli esempi, all’Albania, alla Turchia, all’Ucraina? La mia opinione è che vadano rigidamente rispettati i paletti fissati dai Criteri di Copenaghen, stato di diritto, tutela delle minoranze, garanzie democratiche. Ma, politicamente, chiederei di più.
Abbiamo deciso una road map che porti agli Stati Uniti d’Europa, ma senza principi e valori comuni è inutile costruire un contenitore vuoto. Quando vedo Stati, come Malta, che mettono in vendita la cittadinanza europea per fare cassa mi viene qualche dubbio sul senso dell’Unione. La cittadinanza europea non può essere oggetto di un prezzario. Dobbiamo lottare per il mercato unico, non per il mercato delle vacche. L’Europa non è un club. Cinquant’anni fa, Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Ue, disse che “L’Europa prima di essere un’alleanza militare o un’entità economica deve essere una comunità culturale”. Punto secondo, l’Unione Europea mira a un’unica politica economica e fiscale. Non può sopravvivere come sommatoria di economie disomogenee. E si è data dei vincoli di bilancio, giusti o sbagliati che siano, ma che vanno rispettati anche dai Paesi che vogliono aderire alla moneta unica. Non si possono truccare i conti per entrare nell’Euro. Il caso Grecia ha fatto vacillare l’Unione. Un nuovo caso, non potremmo più permettercelo.
Lara Comi, europarlamentare di Forza Italia