La Commissione europea l’ha detto e lo ripete: l’Ilva di Taranto è fuorilegge. Non rispetta le regole europee ma soprattutto “rappresenta un pericolo immediato per la salute umana e rischia di provocare un immediato significativo effetto negativo sull’ambiente”. Già lo scorso settembre l’esecutivo Ue ha inviato una lettera di richiamo alle autorità italiane: rilievi a cui il nostro Paese ha risposto per iscritto il 2 dicembre. Ma le spiegazioni non sono servite a rassicurare Bruxelles, che ora ha deciso di inviare una nuova lettera di messa in mora all’Italia. La missiva evidenzia ben quattro nuove possibili infrazioni alla normativa comunitaria e chiede un supplemento di informazione che le autorità italiane sono tenute a fornire entro due mesi.
In particolare lo stabilimento siderurgico tarantino, ha spiegato uno dei portavoce della Commissione europea, Isaac Valero Ladron, violerebbe la nuova direttiva sulle emissioni industriali e la Direttiva Seveso, che impone ai Paesi europei di identificare i siti industriali a rischio e di adottare adeguate misure per prevenire gli incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose e di limitarne le conseguenze per le persone e per l’ambiente.
Per prima cosa, l’esecutivo Ue evidenzia che l’impianto continua a non applicare le condizioni previste dall’autorizzazione per la propria attività, visto che “ci sono le prove che l’Ilva ha causato un inquinamento significativo”. Gli Stati membri, invece, “dovrebbero prendere le misure necessarie a fare sì che gli impianti operino in modo tale da non causare inquinamento significativo”.
Il secondo rilevo della Commissione riguarda l’autorizzazione ad operare concessa ad Ilva. Un permesso che sarebbe “inadeguato” perché non include “tutti i requisiti necessari”, almeno riguardo ad alcuni aspetti come “il funzionamento delle discariche, la gestione dei sottoprodotti, la gestione dei rifiuti, delle acque e acque reflue, la protezione del suolo e delle acque sotterranee”.
Un altra possibile violazione della normativa comunitaria, poi, potrebbe derivare dal fatto che, nonostante tutto, l’impianto continua ad essere in funzione. Essendoci prove che l’Ilva “rappresenta un pericolo immediato per la salute umana e rischia di provocare un significativo effetto negativo sull’ambiente”, secondo l’esecutivo Ue, l’Italia aveva invece l’obbligo di sospenderne il funzionamento dell’impianto o di parti rilevanti di esso. Cosa che non è stata fatta.
L’impianto tarantino, poi, violerebbe anche la Direttiva Seveso, sulla prevenzione dei grandi incidenti industriali. Gli operatori, fa notare Bruxelles, dovrebbero produrre un rapporto di sicurezza, riesaminato periodicamente e aggiornato almeno ogni cinque anni. Cosa che l’Ilva non ha fatto: l’aggiornamento del rapporto di sicurezza del 2008 non è mai stato terminato.
Su tutti questi punti l’Italia rischia nuove possibili infrazioni. Se entro due mesi le autorità italiane non daranno una risposta soddisfacente si arriverà infatti al parere motivato, che prelude al deferimento alla Corte di Giustizia Ue.