Uno studio coordinato dalla Sapienza di Roma rivela la ricchezza della biodiversità umana nel Belpaese: c’è maggiore distanza genetica tra i sardi o le popolazioni alpine e i loro gruppi vicini che tra portoghesi e ungheresi
Gli italiani sono il popolo più eterogeneo d’Europa dal punto di vista genetico. È la conclusione di uno studio realizzato dall’Università la Sapienza di Roma sulle popolazioni del nostro continente. Un team di ricercatori, coordinato dall’antropologo Giovanni Destro Bisol, in collaborazione con gruppi di ricerca delle Università di Bologna, Cagliari e Pisa, ha scoperto che la varietà riscontrabile nel Dna delle persone che abitano le nostre regioni da Nord a Sud è talmente elevata che risulta paragonabile a quella che si osserva tra gruppi che vivono agli angoli opposti d’Europa.
Non è tutto, la ricerca, iniziata nel 2007 e conclusasi oggi, rivela un’inedita analogia tra la varietà della tipolgia delle persone e quella di animali e vegetali, la cui notevole diversità inter-specifica contribuisce in maniera fondamentale all’inclusione del bacino del Mediterraneo tra i 34 hot spot (punti caldi) della biodiversità a livello mondiale.
Alla base di questa analogia c’è un motivo comune, ovvero l’estrema estensione latitudinale dell’Italia. La varietà degli habitat naturali presenti lungo la nostra penisola ha favorito nel corso dei millenni lo sviluppo di moltissime specie diverse di piante e animali sul nostro territorio. In parte lo stesso è avvenuto per la specie umana e soprattutto, a causa delle sue caratteristiche geografiche, l’Italia sin da tempi antichissimi ha rappresentato un corridoio naturale per i flussi migratori provenienti sia dall’Europa centrale sia dal Mediterraneo. Gli incroci fra popolazioni provenienti sia da Nord che da Sud ed immigrate nel corso dei secoli hanno contribuito a dar vita a un popolo particolarmente eterogeneo, sia dal punto di vista genetico che da quello dei tratti somatici esteriori.
“La diversità degli italiani – spiega il professor Destro Bisiol – deriva da un pattern complesso di migrazioni avvenute in diversi momenti storici e preistorici, cui ha fatto seguito in alcuni casi un mescolamento tra gruppi migranti e autoctoni. Questo non è affatto sorprendente: è evidente che per le sue caratteristiche geografiche l’Italia, sin da tempi antichissimi, ha rappresentato un corridoio naturale per i flussi migratori provenienti sia dall’Europa centrale, orientale e occidentale, che dal Mediterraneo. Ma non solo, – insiste il curatore dello studio – fenomeni locali di isolamento hanno, in alcuni casi, determinato una notevole differenziazione delle comunità di migranti, non solamente dai gruppi limitrofi residenti, ma anche dalle stesse popolazioni da cui si erano originati. In definitiva, cause diverse tra loro (migrazione e isolamento) hanno lasciato dei segni talmente forti sulla struttura fisica delle popolazioni italiane, da determinare una diversità genetica così elevata che può reggere il confronto con quella osservata nell’intero continente europeo”.
Nel caso dell’uomo hanno contribuito alla diversità tra popolazioni anche le differenze culturali, in primis linguistiche, creando un ulteriore fattore di isolamento, oltre a quello geografico, che ha poi contribuito a conservare le diverse tipologie di Dna. Il risultato finale è lo sviluppo di una popolazione unica in Europa. Un aspetto particolarmente originale dello studio condotto dalla Sapienza di Roma è l’inclusione nell’indagine, oltre a popolazioni ampie e rappresentative di città o di grandi aree ma peculiari dal punto di vista storico e sociale, quali i Sardi e i Friulani, anche gruppi di antico insediamento come le minoranze linguistiche dei Ladini, Cimbri, e Grecanici, che hanno apportato aspetti culturali originali nel panorama italiano. E proprio alcune di queste popolazioni, come le comunità “Paleogermanofone” e Ladine delle Alpi, oltre ad alcuni gruppi della Sardegna, contribuiscono in maniera determinante alla notevole varietà genetica osservata in Italia.
Un dato tra tutti: se si considerano, ad esempio, i caratteri trasmessi dalla madre ai figli di entrambi i sessi (e cioè il Dna mitocondriale), comparando la comunità germanofona di Sappada, nel Veneto settentrionale, con il suo gruppo vicinale del Cadore, o quella di Benetutti in Sardegna con il resto della Sardegna Settentrionale, l’insieme delle differenze genetiche calcolate è di 7-30 volte maggiore di quanto si osserva perfino tra coppie di popolazioni europee geograficamente venti volte più distanti, come Portoghesi e Ungheresi oppure Spagnoli e Romeni.
“I nostri dati – spiega
l – testimoniamo come fenomeni migratori e processi di isolamento che hanno coinvolto le minoranze linguistiche, per la maggior parte insediatesi nel nostro territorio prevalentemente tra il medioevo e il diciannovesimo secolo, abbiano lasciato testimonianza non solamente nei loro aspetti culturali (diversità linguistiche, aspetti della tradizioni e del folklore), ma anche nella loro struttura genetica. Il nostro studio ha permesso anche di valutare il grado di isolamento dei vari gruppi e ha quindi identificato situazioni che meglio di altre si potrebbero prestare ad applicazioni biomediche, come la ricerca delle cure per alcune malattie”.
“Questo studio ci lascia anche una riflessione che va al di là della dimensione strettamente scientifica e investe l’attualità; – conclude Destro Bisol – infatti mette in luce come sia il patrimonio culturale che quello biologico delle popolazioni italiane portino evidenti testimonianze della convivenza e degli incontri tra genti diverse, che hanno avuto luogo già molto prima dei flussi migratori recenti. Sapere che l’Italia, è sempre stata ed è tuttora una terra di notevole diversità sia culturale che genetica, può aiutarci ad affrontare in maniera più serena un futuro pieno di occasioni di confronto con i portatori di nuove e diverse identità”.
Insomma, se ci rendessimo conto di essere già così differenziati tra di noi fin dall’antichità e che questo rappresenta un patrimonio di cultura ed esperienze, l’arrivo di immigrati da altri paesi non dovrebbe sconvolgerci più di tanto.
Laura Gobbo
Lo studio è pubblicato in: Capocasa M. et al. Linguistic, geographic and genetic isolation: a collaborative study of Italian populations. Journal of Anthropological Sciences, volume 92, doi 10.4436/JASS.92001.