In sintonia con Marx, si potrebbe chiosare che un fantasma si aggira oggi per l’Europa. Non si tratta del comunismo, ma di una domanda che si aggira nelle teste di milioni di persone e a cui è difficile dare una risposta. La domanda è questa: ma è possibile che la dirigenza della banca centrale più importante dell’Eurozona sembri composta da persone che sembrano degli idioti?
Mario Draghi, con una dichiarazione a luglio 2012 e poi a settembre con l’annuncio dell’introduzione di un nuovo schema per acquistare titoli di debito pubblico sul mercato, tra l’altro mai utilizzato finora, ha fermato la speculazione sull’Euro. Ma, incredibilmente, la decisione di salvare l’Euro è stata duramente contestata dal Presidente della Bundesbank Jens Weidmann che ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale tedesca che non si è ancora espressa. Che cosa avrebbe dovuto fare Draghi se non salvare l’Euro?
L’ultimo delirio è la recentissima proposta della Bundesbank che gli Stati troppo indebitati, prima di chiedere aiuto ad altri Stati, debbano imporre una tassa una tantum su tutta la ricchezza dei cittadini, compresi i conti correnti, facendo capire che un 10% sarebbe necessario. Naturalmente, ci tiene a specificare la Bundesbank, una tassa così non dovrebbe essere applicata alla Germania (nonostante essa abbia in valore assoluto il debito pubblico più alto di tutti gli altri paesi dell’eurozona), poiché avrebbe l’effetto di rallentare la crescita. Ma non avverrebbe la stessa cosa in un Paese come l’Italia il cui reddito, al contrario di quello della Germania che è tornata ai livelli pre-crisi, è inferiore del 10% rispetto al 2007? E poi perché la Bundesbank non si occupa solo di questioni tedesche e vuole mettere bocca su questioni fiscali che dovrebbero essere di competenza degli Stati nazionali?
La prima risposta chiara su idioti sì o no l’ha data un’economista greco Yanis Varoufakis.
La mia interpretazione, si basa su una riluttanza radicale di credere che la banca centrale della Germania sia popolata da scemi.
Come me, che ci ho scritto un libro, Mefistofele, che uscirà presto presso la Utet, Varoufakis è rimasto sconvolto dalle deposizioni presso la Corte Costituzionale tedesca del Presidente della Bundesbank Jens Weidmann per contestare le politiche prese da Draghi nel 2012 per salvare l’Euro. Ma Varoufakis crede che le posizioni della Bundesbank non siano il prodotto della stupidità estrema dei suoi dirigenti. Dietro vi vede un progetto lucido e ben orchestrato.
La più recente proposta della Bundesbank, qualora fosse presa seriamente in considerazione, creerebbe una fuga dei capitali dai Paesi della periferia che in un momento come questo si trasformerebbe subito in un esodo. Non posso credere che i più alti dirigenti della Bundesbank non capiscano questa cosa così semplice. Ma la ragione per cui la propongono è che sanno esattamente questo: temo che l’obiettivo di lungo termine della Bundesbank sia quello di una Eurozona più piccola, possibilmente non appesantita dai Paesi a Sud delle Alpi e a Ovest del Reno.
Anche la proposta apparsa oggi sul Financial Times dell’economista keynesiano Peter Bofinger, vicino ai socialdemocratici, sembra essere una proposta autistica. Secondo Bofinger l’idea degli eurobond emessi e garantiti congiuntamente non è praticabile perché se uno Stato dovesse fallire i contribuenti tedeschi potrebbero essere chiamati ad accollarsi debiti di altri. D’altra parte, come noto, la Gross Koalition ha escluso tassativamente l’idea degli eurobond proprio per questo motivo. Dopo aver preso atto che ormai la BCE non ha più molte opzioni, se non quella di tassi di interessi negativi, che spingerebbe molti depositanti a ritirare i soldi e nasconderli in cassette di sicurezza o sotto il materasso per chi non potesse permettersela, Bofinger non vede altra strada che quella del quantitative easing.
L’unica opzione rimasta per le autorità monetarie è solo quella di acquistare assets, cioè titoli di stato dei paesi dell’eurozona, stampando nuova moneta.
E’, da un certo punto di vista, un passo avanti, perché è la prima volta, che io ricordi, che un economista tedesco di rango (Bofinger è un membro del Consiglio Tedesco degli esperti economici) ammette che non ci sono molte altre strade, se non si vuole cadere in deflazione, che stampare moneta. Ma il quantitative easing che propone Bofinger è anch’esso surreale, come le proposte della Bundesbank. Dopo aver preso atto che a differenza degli Stati Uniti, prima di fare quantitative easing, la BCE dovrebbe decidere quali titoli di quale paese comprare, Bofinger esclude la prima opzione (già totalmente favorevole alla Germania) e cioè quella che la BCE compri titoli dei singoli Stati in maniera proporzionale al Pil. “Neanche la Corte Costituzionale tedesca avrebbe nulla da ridire su questo”, aggiunge Bofinger. Certo che no! La Germania che già adesso ha un tasso di interesse reale sui suoi titoli di debito a 10 anni vicino allo zero, verrebbe a pagare, con questa operazione un tasso di interesse negativo. Fantastico! Perché Bofinger la esclude? Perché il paese più vassallo dei tedeschi, la Finlandia, che nonostante sia anch’esso, come l’Italia, un paese debitore, cioè con una posizione finanziaria netta verso l’estero negativa, ma si è sempre alleato con il più grande paese creditore, ne potrebbe risentire, data la relativa esiguità del suo stock di debito pubblico. Sic!
Cosa propone Bofinger? Udite, udite! Un eurobond senza joint liability, cioè ogni paese resta responsabile per il suo debito, che l’economista ribattezza eurobundles. Questi titoli di debito impacchetterebbero i titoli di debito dei vari paesi in proporzione al Pil delle loro economie così che un eurobundle da 100 euro conterrebbe 28 euro di debito tedesco, e a seguire tutti gli altri, i francesi con il 22 e così via. Insomma il 50% degli acquisti andrebbe a favore di Francia e Germania. Il resto sarebbe da dividere tra i restanti 16 paesi dell’eurozona. La BCE comprerebbe poi questi eurobundles stampando moneta.
E poi la ciliegina sulla torta. La Germania, ci tiene a ricordare Bofinger, e lui sa bene probabilmente come la pensano i suoi concittadini al Governo, sarebbe d’accordo a fare questa operazione solo se ogni governo pagasse un diverso tasso di interesse, per riflettere la salute dei propri conti pubblici. Quelli che hanno un debito più elevato dovrebbero pagare un sovrainteresse che andrebbe a beneficio dei paesi meno indebitati.
Cosa dire? Ogni volta si rimane sempre più basiti. Sembra non esserci più nessuna autolimitazione nelle élites tedesche nel curare solo i propri affari e usare l’Euro e l’Europa solo per aumentare i loro vantaggi. E certamente nessuna saggezza (di solidarietà manco a parlarne, la parola sembra non esistere nel vocabolario tedesco).
Domenica scorsa sul Corriere della Sera Romano Prodi ha confermato che la Germania la fa da padrone su tutto ormai. Penso che per onestà, però, Prodi dovrebbe riconoscere che tutti coloro che a suo tempo avevano espresso perplessità sulla costruzione dell’Euro senza una sovranità politica dietro avevano ragione. Uno degli economisti più lucidi credo sia stato l’economista Charles Goodhart, Professore emerito di economia alla London School of Economico, che aveva visto con lucidità già nel 2003 i pericoli a cui l’Euro poteva andare incontro: “La cartina di tornasole per capire come funziona l’Eurozona arriverà solo quando a un grande Paese dell’Unione sarà richiesto di prendere misure fiscali deflazionistiche in un momento in cui la sua economia sta soffrendo di una terribile stagnazione”. Allo stesso modo la pensava Geoffrey Ingham che insegna a Cambridhe in un libro “The Nature of Money” pubblicato nel 2004:
Il rischio politico che le condizioni di Maastricht possano diventare inaccettabili nel caso di una severa recessione che potrebbe richiedere un certo ammontare di discrezionalità monetaria non è formalmente riconosciuto nella teoria economica che costituisce il sostrato della nuova area monetaria le cui assunzioni sono basate sull’idea neoclassica che la moneta sia un mezzo neutro e che la stabilità dei prezzi sia essenziale per il successo economico di un Paese.
Non sono in grado di capire quali siano le intenzioni di lungo periodo della Bundesbank, ma quello che so è che la politica monetaria non è una questione tecnica, ma appunto politica. In tutti i Paesi del mondo la politica monetaria viene generalmente formulata dai governi tramite il ministero del Tesoro e in accordo con la banca centrale. Ma in Europa chi decide la politica monetaria? La Bundesbank? Purtroppo, non abbiamo uno spazio politico, un Tesoro europeo, all’interno del quale i diversi interessi monetari dei vari paesi possano essere riconciliati politicamente.
Capisco che Draghi ha probabilmente le mani legate dalla Bundesbank. A me sembra, però, che i dirigenti della BCE in questo momento stiano sottostimando pericolosamente i rischi politici di una banca centrale legata a regole formali da cui nessuno sa come uscire e né si capisce chi possa avere il potere di cambiarle queste regole.
La moneta neutrale è solo una concezione ideologica, screditata già negli anni Trenta da Keynes e Schumpeter e resuscitata dai monetaristi negli anni Settanta e Ottanta. Essa costituisce la Bibbia su cui la BCE è nata, e che la Bundesbank ogni giorno predica, ideologia che vorrebbe nascondere che la creazione di moneta è al centro del conflitto centrale di interessi del capitalismo contemporaneo, che non è la lotta di classe marxista tra lavoratori e capitalisti, come pensa ancora Maurizio Landini, ma quello cruciale tra creditori e debitori. La moneta non è assolutamente uno strumento neutro ma, come diceva Max Weber, uno strumento fondamentale nella “battaglia economica dell’uomo contro l’uomo”.
A livello macroeconomico, la stampa di moneta è sempre il risultato di una lotta tra grandi interessi economici e tra questi e gli Stati, e spesso le teorie non fanno altro che da contorno (il monetarismo ha messo lo stampino accademico su una situazione reale nella quale la grande finanza ha riacquistato nei confronti della politica e degli interessi degli Stati una egemonia che aveva perso negli anni Cinquanta e Sessanta in cui lo Stato aveva messo sotto controllo la produzione privata di moneta da parte delle banche). Nel capitalismo contemporaneo (ma forse è stato sempre così, a partire dalla nascita della Banca d’Inghilterra alla fine del diciassettesimo secolo) la lotta tra debitori e creditori si incentra su una grande variabile di riferimento, il tasso reale di interesse di lungo termine sui titoli di debito pubblico (di solito si prende come benchmark il tasso nominale dei titoli di debito del Tesoro dei singoli Stati a 10 anni, meno il tasso di inflazione, lo stesso tasso che si usa per calcolare lo spread).
Gli Stati Uniti sono il più grosso debitore del mondo e hanno continuo bisogno di importare capitali a causa del loro enorme deficit nella parte corrente della bilancia dei pagamenti. Eppure a partire dal 2009, quando la Federal Reserve ha iniziato le sue politiche di quantitative easing il tasso reale di interesse americano a 10 anni è stato vicino allo zero. Gli Stati Uniti sono sì il più grosso debitore al mondo ma allo stesso tempo sono anche la più grande potenza, e non solo militare. In Europa, la Germania che al contrario degli USA è, insieme alla Cina, il più grosso Paese creditore al mondo ha imposto la stessa regola basata sui rapporti di forza. Usando come spauracchio il rischio inesistente di un’iperinflazione, la Germania tiene sotto lo stivale i paesi creditori facendo pagare tassi reali estremamente elevati, mantendendo allo stesso tempo un tasso di interesse sui Bund bassissimo (oggi all’1,64%, considerando l’inflazione dell’1,5%, i tassi sono praticamente a zero). L’Italia che ha un tasso di inflazione dello 0.7% paga oggi un tasso a 10 anni del 3,86, cioè un tasso reale superiore al 3%, superiore al tasso reale che paga la Turchia, nonostante la sua banca centrale, la scorsa settimana in una tempestosa riunione notturna, abbia alzato il tasso di base da 4,5% al 10% (l’inflazione in Turchia è pari al 7,5%).
Penso che la legittimità e l’efficacia del sistema monetario europeo alla fine risiederà nella sua capacità di saper gestire un giusto equilibrio tra tutti gli interessi in gioco, quello dei creditori e dei debitori, quello delle imprese e dei cittadini, e alla fine, anche e soprattutto l’interesse degli Stati che avrebbero avuto il potere, se lo avessero desiderato e avessero ancora avuto una banca centrale, di poter monetizzare parte del debito pubblico.
Oggi quello di cui sempre più si sente la mancanza è una sovranità politica europea che possa rapidamente cambiare le regole del gioco della BCE. La storia delle banche centrali ci insegna che le regole monetarie stabilite debbono essere cambiate in caso di una grave crisi. Così è stato negli anni Trenta quando il Regno Unito e gli Stati Uniti abbandonarono il Gold Exchange. Ma oggi che tutti siamo di fronte all’inefficacia delle politiche monetarie della BCE chi ha l’autorità per cambiare le regole del gioco? Abbiamo sostenuto che l’Overt Money Financing, e cioè una monetizzazione parziale del debito pubblico degli Stati europei sarebbe la soluzione migliore e più unconventional. Ma questo non è oggi permesso perché lo Statuto della BCE proibisce alla banca di acquistare direttamente dagli Stati obbligazioni di debito. Come ha detto la settimana scorsa sul Financial Times Martin Wolf: “Una banca centrale che riporta a vari governi non è accountable a nessuno di questi”.
Nella intervista al Corriere della Sera Prodi rivolge al suo pupillo e allievo Enrico Letta un consiglio: “Di tentare una sortita. Di prendere iniziative anche contestate. Di non avere paura di mettersi in una controversia”. La sortita che suggeriamo noi è una sola: di arrivare alla Presidenza del semestre europeo con una proposta semplice e comprensiva per tutti: quella di cambiare lo statuto della BCE affinché abbandoni l’obiettivo unico di controllo dell’inflazione (inflation targeting) e aggiunga tra i compiti della BCE l’obiettivo di ridurre la disoccupazione, obiettivo che tutte le altre banche centrali hanno posto al centro delle loro politiche dopo la grande crisi del 2007-08 che per l’Italia è ormai diventata la più grande crisi dalla nascita dello Stato unitario, poco più di 150 anni fa. Sarebbe una proposta intorno alla quale troverebbe molti alleati e dove forse la Germania potrebbe non essere in grado di fare, come al solito, il bello e il cattivo tempo, come fa ora. Forza Letta, dì qualcosa di sinistra. Altrimenti, portare la banda dei carabinieri in concerto a Bruxelles non sarà ricordato come un grande achievement della sua Presidenza italiana del semestre europeo.
Elido Fazi