Lo sostiene l’avvocato generale presso la Corte di Giustizia dell’Ue Nils Wahl. A breve il pronunciamento dei magistrati su una questione molto discussa
Arriva dall’Europa la parola fine al (quasi) monopolio per l’esercizio della professione detenuto dell’ordine degli avvocati (teso anche a garantire la qualità dei professionisti)? Oramai si è a un passo. In un procedimento aperto dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Ue l’avvocato generale Nils Wahl (il cui parere è praticamente sempre accolto dai magistrati giudicanti), sostiene che il semplice fatto che un cittadino scelga di acquisire il titolo di avvocato di un altro Stato membro allo scopo di beneficiare di una normativa più favorevole non costituisce un abuso del diritto.
“La prassi di rifiutare ai propri cittadini che abbiano conseguito il titolo in un altro Stato membro l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo prevista per gli avvocati che hanno ottenuto la qualifica all’estero pregiudica il corretto funzionamento della direttiva e compromette i suoi obiettivi”, spiega la Corte.
La storia, che si trascina da qualche anno e l’hanno attivata i cittadini italiani Angelo Alberto e Pierfrancesco Torresi, che hanno entrambi conseguito in Italia una laurea in giurisprudenza. Successivamente hanno ottenuto in Spagna il riconoscimento dell’equivalenza della stessa alla laurea spagnola in giurisprudenza (Licenciado en Derecho). Ciò li ha autorizzati ad iscriversi come “abogado ejerciente” presso l’ordine degli avvocati di Santa Cruz in Tenerife. Pochi mesi dopo essi hanno presentato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata, in Italia, una domanda di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati riservata agli avvocati che hanno ottenuto la qualifica all’estero (“avvocati stabiliti”). Le loro domande trovavano fondamento nella normativa italiana che traspone la direttiva sul diritto di stabilimento degli avvocati, la quale consente agli avvocati di esercitare in altri Stati membri con il titolo ottenuto nel loro Stato di origine.
Però il Consiglio dell’Ordine non aveva preso una decisione entro il termine prescritto, e dunque i signori Torresi hanno proposto ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense (CNF), il quale ha chiesto alla Corte di giustizia se la direttiva osti a che uno Stato membro rifiuti, con la motivazione dell’abuso del diritto, l’iscrizione all’albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati stabiliti, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro Stato membro, ritornino nel loro Stato membro di origine.
Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Nils Wahl spiega anzitutto che pur essendo composto da avvocati e decidendo sulle domande di iscrizione all’albo degli avvocati, il CNF può tuttavia essere ritenuto sufficientemente indipendente ed imparziale, in quanto sussistono determinate garanzie procedurali e dunque “soddisfa gli stessi criteri degli organi giurisdizionali nazionali e può adire in via pregiudiziale la Corte di giustizia su questioni di diritto dell’Unione”.
Nel merito, l’avvocato generale Wahl ricorda che lo scopo della direttiva è quello di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale. Il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale è inerente all’esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai trattati dell’Unione.
La direttiva ha realizzato la completa armonizzazione dei requisiti preliminari all’esercizio di tale diritto. La presentazione all’autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l’ordine dello Stato membro di origine è “l’unico requisito” necessario per l’iscrizione nello Stato membro ospitante, che consente alla persona di esercitare la sua attività in quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale di origine. È ininfluente, ai sensi della direttiva, il fatto che l’avvocato abbia la cittadinanza dello Stato membro ospitante. Il legislatore dell’Unione, sostiene l’avvocato generale, non ha infatti inteso consentire agli Stati membri di attuare discriminazioni alla rovescia escludendo i propri cittadini dai diritti conferiti da tale direttiva.
Inoltre la Corte ha già statuito che la direttiva non consente che l’iscrizione di un avvocato nello Stato membro ospitante possa essere subordinata ad ulteriori condizioni (come ad esempio un colloquio inteso ad accertare la padronanza della lingua o lo svolgimento di un determinato periodo di pratica o di attività come avvocato nello Stato membro di origine). Se non è richiesta alcuna precedente esperienza per esercitare, ad esempio, come “abogado” in Spagna, non vi è ragione di richiedere una tale esperienza per esercitare con il medesimo titolo professionale in un altro Stato membro.
A tal riguardo, sostiene Wahl, “non può essere attribuita alcuna importanza al fatto che l’avvocato intenda approfittare di una normativa estera più favorevole o che egli presenti la domanda di iscrizione all’albo poco dopo aver ottenuto il titolo professionale all’estero”.
Pertanto, l’avvocato generale ritiene che “una prassi come quella italiana possa pregiudicare, in tale Stato membro, il corretto funzionamento del sistema creato dalla direttiva e quindi compromettere seriamente i suoi obiettivi”.
L’avvocato generale sottolinea tuttavia che, qualora le autorità dello Stato membro ospitante, in un caso specifico, sospettino una condotta fraudolenta e, in seguito ad un’indagine approfondita, accertino che ricorrono entrambi gli elementi, oggettivo e soggettivo, di un abuso, non è loro precluso respingere una domanda in ragione di un abuso del diritto. In tali casi specifici, la direttiva prevede anche la possibilità di chiedere la collaborazione delle autorità dello Stato membro in cui il titolo è stato ottenuto.
L’avvocato generale conclude pertanto che “la direttiva sul diritto di stabilimento degli avvocati non ammette la prassi di uno Stato membro di rifiutare, con la motivazione dell’abuso del diritto, l’iscrizione all’albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati che hanno ottenuto la qualifica all’estero, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro Stato membro, ritornino nel loro Stato membro di origine”. Ora la parola passa alla Corte, che si esprimerà in una seduta ancora da convocare.
Ezio Baldari