Alle politiche di ieri i neonazisti di Jobbik arrivano al 21% e sono il secondo partito, la coalizione di cinque partiti di centrosinistra tocca il 25%. 134 seggi su 199 toccano al partito del premier
L’uomo forte dell’Ungheria si fa beffe dell’Unione europea debole e vince, largamente, le elezioni. Viktor Orban un uomo la cui statura fisica è decisamente al di sotto della sua ambizione politica, ha doppiato la vittoria del 2010, e grazie ad una legge elettorale che si è disegnato su misura ha probabilmente di nuovo i due terzi del Parlamento, pur non avendo neanche la metà dei voti. Alla metà però ha ridotto i deputati, che sono passati da 386 a 199 come i turni elettorali, da due a uno solo. Tanto si sa chi vince, inutile avere troppi deputati o andare troppo alle urne. “Non c’è dubbio, abbiamo vinto” ha detto Orban parlando ai suoi sostenitori ieri notte. “E non si tratta solo di una chiara vittoria, ma è talmente larga che non possiamo comprenderne tutta la portata questa sera”.
I risultati ufficiali, forse unico caso in Europa, arriveranno tra 19 giorni, non prima del 25 aprile, per poter contare i voti dei residenti all’estero, prevede la legge. Ma lo scrutinio di ieri ha ieri sera confermato quanto era largamente atteso dal voto degli otto milioni di elettori ucraini: circa 134 seggi al partito maggiore e il resto (65) da dividere tra gli altri. Fidesz, il partito del premier, ha il 45 per cento, la coalizione di centrosinistra raggiunge un pur dignitoso il 25 e 38 seggi, i neonazisti di Jobbik, per i quali Orban ha reso facili le condizioni di vita, sono grandemente cresciuti, arrivando al 21 e 23 seggi. Non è ancora chiaro se i verdi hanno raggiunto il 6 per cento, superando dunque la soglia del 5 per cento che permette di entrare in Parlamento. L’analisi politica locale del voto sarà difficile da avere, perché il Consiglio dei media messo su dal primo ministro controlla che i fatti vengano raccontati “in maniera politicamente equilibrata”, e l’equilibrio, non c’è da dirlo, è quello stabilito dal partito più pesante.
Orban, la cui grande mossa politica in Europa è quella di essere parte del Partito popolare europeo, governerà dunque per altri quattro anni, dopo aver fatto leggi, che lui definisce necessarie per “sradicare” le eredità del comunismo, che mettono al guinzaglio la magistratura, limitano la libertà di stampa, impediscono alle altre forze politiche di crescere (tranne i neonazisti), ma anche aver garantito al suo paese una crescita del 2 per cento all’anno, aver ridotto la disoccupazione, aver portato il rapporto tra deficit e Pil sotto il 3 per cento, aver migliorato le condizioni salariali di alcune categorie, come gli insegnanti. A meno che i conti non siano truccati.
Il premier è un populista, nazionalista, “euro minimalista”, ma vuol restare nell’Unione. Nonostante le richieste di sanzioni come la sospensione del diritto di voto negli organismi comunitari, avanzate dalla gran parte delle forze politiche dell’Ue, il Ppe ha sempre bloccato ogni iniziativa, proteggendo il suo associato. Dunque nulla, uno dei paesi dell’Unione continuerà ad essere governato da una “Viktatorship” come scrivono i britannici, da un regime che alcuni studiosi definiscono, con un certo pudore, “a tendenza autoritaria”, cosa che non coincide perfettamente con i principi sanciti dalla Ue. Certo Orban non ha ucciso nessuno, ma qualcuno lo manda in prigione, fa multe ai giornali, limita le libertà dei magistrati, depotenzia la Corte costituzionale a favore dei poteri del governo. Ma al “popolo” dà lavoro e qualche soldo in tasca.
In realtà qualche risposta Orban alle preoccupazioni europee l’ha data, proprio sulla giustizia o sull’indipendenza della Banca centrale, ma in sostanza, anche grazie alle sue grandi capacità di comunicatore, è riuscito ad avere un forte consenso interno, anche perché da un lato l’opposizione di centro sinistra non è riuscita a proporre idee forti da opporre alle azioni del premier, e dall’altro i cinque partiti che potrebbero offrire un’alternativa si sono presentati a queste elezioni in un’alleanza che evidentemente non ha convinto gli ungheresi. Almeno però sono riusciti ad evitare che i neonazisti di Jobbik, che hanno un poco smussato i loro angoli più acuti, diventassero il secondo partito del paese. Secondo alcuni osservatori ad aiutare l’opposizione di centrosinistra a segnare un buon risultato (date le condizioni) è stata la crisi in Ucraina, poiché Orban ha il tallone d’Achille di essersi molto legato a Mosca, e questo qualche preoccupazione l’ha provocata.
Lor