Niente eurobond o Turchia nell’Ue, sottolinea per rassicurare Merkel
Poi il candidato del Ppe parlando a Berlino, entra in confusione e attacca il “socialista” Raioy e accusa il presidente del Parlamento europeo di “concedere per il terzo anno alla Francia di superare il 3%”
C’è molta confusione in questa campagna elettorale per le europee. Una sola cosa è chiara: socialisti e popolari giocheranno la partita del presidente della Commissione tra di loro, dopo essersi punzecchiati in questo mese per tentare di avere comunque l’uno il sopravvento sull’altro.
La prima cosa è il patto a tre, firmato giovedì con i piccoli liberali, nel quale si chiarisce che tra loro, e solo tra loro, si negozierà per scegliere il presidente, partendo dal candidato del partito che ha preso più voti. Potete leggere il nostro commento qui accanto.
La seconda, che consegue, è quel che ha detto ieri al congresso della Cdu a Berlino Jean-Claude Juncker, candidato popolare (ex premier del Lussemburgo, ex capo dell’Eurogruppo): “Nessun altro può essere presidente a luglio, o lo sarò io o lo sarà Martin Schulz (candidato del Pse, attuale presidente del Parlamento europeo). Qualsiasi altra ipotesi è una fantasia delle burocrazie nazionali”. Ora, a parte che il presidente della Commissione entrerà in carica il primo novembre e non a luglio, per il resto Juncker (che buffamente non dà per scontata la sua vittoria), considerata anche la sede nella quale parlava, ha detto una cosa altamente verosimile. Quel che non è leale è che in base al patto a tripartita la maggioranza è stata già stabilita: Pse-Ppe-Alde. Una sorta di Grande coalizione tra i due maggiori partiti più un testimonial delle altre forze politiche, che neanche prende in considerazione l’ipotesi di creare sane maggioranze e opposizioni alternative di destra, di sinistra, di centrodestra o di centrosinistra (che, in base ai numeri delle previsioni sono possibili).
Un terzo tema interessante è che sia i socialisti sia i popolari sostengono di essere loro i padri dell’elezione “diretta” del presidente della Commissione, della scelta cioè di proporre ai cittadini-elettori europei un candidato per ogni partito a livello di Unione. La verità, a quanto si è potuto ricostruire, è che l’idea si è manifestata prima tra le file popolari, con un robusto appoggio di alcuni liberali, poi è stata accolta con entusiasmo quasi da tutto il Parlamento ed è diventata una risoluzione votata a larghissima maggioranza. E’ anche vero che, una volta deciso, i popolari sono stati quelli che più hanno tardato nella scelta del candidato, sia nel definire il metodo sia nel realizzarlo. “E’ stata un’invenzione del partito popolare, è stato il Ppe che ha combattuto per un’Europa più democratica e una commissione più politica”, ha detto ieri Juncker. Le stesse parole, mutando i soggetti, ha detto Massimo D’Alema, uno dei leader del Pse, padrone di casa della Federazione dei centri studi progressisti dove giovedì scorso si è svolto l’evento di lancio a Bruxelles della campagna per Martin Schulz.
La confusione però cresce quando Juncker entra nel merito delle proposte per la nuova legislatura, e attacca i paesi dove “le riforme strutturali stagnano, sotto la guida di governo socialisti: l’Italia, la Slovenia e la Spagna”. Dunque l’Italia, volendo, si può dire che ha un governo a guida socialista perché il premier è il segretario di un partito membro del Pse, anche se nella coalizione ci sono esponenti di un partito che chiaramente spiega la sua collocazione chiamandosi “Nuovo Centro Destra” e fa parte del Ppe, il partito di Juncker. In Slovenia il governo è più o meno liberale riformista, di certo non socialista, il cui ultimo esponente ha governato fino al febbraio 2012 (per la cronaca, i socialisti nella storia della Slovenia indipendente hanno governato solo una volta, per poco più di tre anni, dal 2008 al 2012). In Spagna c’è un governo popolare dal 2011, da quasi tre anni, il cui presidente è Mariano Rajoy Brey (che è anche il leader del Partito popolare spagnolo) e che l’esperto Juncker dovrebbe conoscere perché è anche nell’euro e qualche riunione insieme l’hanno fatta. Ma così, preso dalla foga, forse è rimasto a prima del 2011. “I paesi democristiani – ha sostenuto l’ex premier – stanno crescendo dopo aver fatto dolorose riforme strutturali e la disoccupazione ha iniziato a calare lo scorso anno”… no, decisamente la Spagna non è tra questi, Juncker ha ragione: Rajoy è un socialista.
L’attacco del campione popolare ai socialisti è sfrenato “è un grave errore politico che Martin Schulz voglia concedere alla Francia, per il terzo anno consecutivo, di superare il limnite del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Questo va contro le regole del patto di stabilità che io scrissi come presidente dell’Eurogruppo”. In realtà Schulz, che avrà anche tante colpe, non è che sia stato lui a decidere di essere di manica larga con la Francia, perché non ha i poteri per farlo, che sono, invece, decisamente più nelle mani di due esponenti del Ppe: José Manuel Barroso e Herman van Rompuy, e volendo, per quel che conta, anche di un liberale, Olli Rehn.
Infine, sempre da Juncker, due indicazioni strategiche: di eurobond, come desidera la sua madrina Angela Merkel, “certamente non si parlerà nei prossimi cinque anni” , bisogna aspettare che “l’Ue possa controllare le politiche di bilancio nazionali”. E sulla Turchia, sempre in scia con le preferenze di Berlino dice: “Candidato alla Ue? Se blocchi Twitter non sei pronto per l’Ue!”. Frase che, dopo la decisione della magistratura di cancellare il blocco disposto dal premier Erdogan, in realtà potrebbe anche essere letta nel senso che Juncker desidera un cambio nella leadership del paese, che ha dimostrato di avere una struttura istituzionale più democratica del suo capo del governo.
Lor