L’annessione russa della Crimea ha improvvisamente reso visibili altre zone d’Europa e d’Asia dove Mosca potrebbe alzare la voce e rivendicare perdute ingerenze. Gli stati dell’Asia centrale e del Caucaso non sono mai usciti dall’influenza russa e sono lontani da Bruxelles. Ma dentro i confini dell’Unione sono rimaste intrappolate importanti minoranze russe non riconosciute che ora hanno qualche buona ragione per farsi sentire e che potrebbero destabilizzare paesi come l’Estonia, la Lettonia o la Lituania. I dirigenti baltici hanno un bel dire che i loro paesi sono membri della NATO e che la Russia non oserà mai muovere un passo contro di loro. Certamente un’invasione è molto improbabile e anche quanto a ingerenza, la Russia non potrà esercitarne molta ora che tutta l’Europa cerca di limitare la propria dipendenza economica da Mosca. Ma quel che rischiano i paesi a forte minoranza russa è la lenta disgregazione della loro società.
Le comunità russofone che in certi paesi raggiungono anche il 37%, spesso non hanno scuole riconosciute, sono costrette a imparare la lingua nazionale per avere il passaporto e sono in generale sottoposte ad altre angherie dall’apparato di stati a lungo oppressi e ora desiderosi di rivincita. I russi trattati come cittadini di second’ordine in questi paesi non potranno mai nutrire grandi entusiasmi civici e tenderanno sempre a rivolgersi a Mosca. Per studiare, per lavorare, per commerciare, per cercare protezione.
Qual è dunque la soluzione? Mostrare piccoli muscoli baltici all’orso russo non farà grande impressione. In più Mosca avrà gioco facile a dire che l’Unione europea ha due pesi e due misure quando si tratta di minoranze e che in Europa non tutte le lingue sono uguali. La carta vincente allora è proprio cambiare gioco: riconoscere le minoranze russe ovunque nell’Unione, riconoscere il russo come lingua ufficiale nei paesi baltici e aprire cabine di russo al Parlamento europeo. Una ricetta che da Tallin a Riga e a Vilnius susciterà certamente un coro oltraggiato di no, ma l’unica capace di disinnescare l’aggressività russa e di dimostrare a Putin che esiste un’altra via all’ingerenza: quella dello stato di diritto, dell’inclusione, della persuasione, della libertà. I russofoni dell’Unione europea, vedendo riconosciuti i loro diritti e la loro lingua diventerebbero così i migliori sostenitori del sistema europeo e i più potenti sabotatori del prepotente espansionismo russo.
Quando i russi cominceranno a vedere che si può essere russi anche da noi e in più sfuggire al clientelismo e alla corruzione, alla violenza e alla discriminazione, forse saranno meno propensi a votare per Putin o per il nuovo despota che l’uomo del Cremlino starà allevando nel suo vivaio e allora chissà vedremo una vera democrazia nascere a Mosca.
Diego Marani