Come la Crimea anche il Veneto sta facendo un referendum sulla propria indipendenza. E come quello della provincia ucraina, anche quello veneto non ha nessuna legalità. Ma dalla sua parte la Crimea secessionista ha l’esercito russo mentre la Repubblica di Venezia può schierare tutt’al più qualche gondoliere ubriaco. Così, per la flagrante disparità di forze, l’indipendenza della Crimea è possibile e già compiuta, quella del Veneto molto meno probabile.
Eppure in entrambi i casi quel che è in ballo è la sacrosanta autodeterminazione dei popoli, la dottrina di Woodrow Wilson cui si ispirarono gli alleati nella definizione delle frontiere del trattato di Versailles. Un principio che è fra i fondamenti del diritto internazionale, assieme a quell’altro, ugualmente importante, che riconosce a ogni stato l’integrità territoriale e l’inviolabilità dei confini. Peccato che tutti insieme questi principi costituiscano una miscela esplosiva, perché se si applica il primo, gli altri due saltano e viceversa.
Come è accaduto con l’ex Iugoslavia, quando certi Stati europei si accanivano a volerne l’integrità territoriale mentre altri allegramente riconoscevano le repubbliche secessioniste, di fatto scatenando la guerra. Oggi la storia si ripete. È difficile mettere in discussione il diritto degli abitanti della Crimea di secedere dall’Ucraina e aderire alla Russia, se questa è la loro volontà. Si potrà discutere sulle modalità, sull’ingerenza russa, sulla pericolosità del processo, ma non sulla legittimità della secessione. Del resto che legalità ha l’annessione della Crimea all’Ucraina decisa da Krusciov nel 1954? E l’intera definizione delle frontiere delle repubbliche sovietiche all’interno dell’URSS? Non si può certo dire che furono ispirate all’autodeterminazione dei popoli.
Vero che rimettendo in discussione questi confini si aprirebbe il vaso di Pandora delle secessioni, in Europa e nel mondo. Ma questa ambiguità dovrà una volta o l’altra essere affrontata se non si vuole ad ogni crisi di questo genere adottare pesi e misure diversi rendendo così poco credibile ogni pretesa di legittimità dell’una o dell’altra parte. Cercare di spartire i russi dagli ucraini in Ucraina o gli uni dagli altri in altre decine di paesi è un’impresa senza fine e destinata al fallimento. Il caso ucraino mostra ancora una volta le contraddizioni dello Stato nazionale e la necessità di superarlo.
Appare sempre più chiaramente che è necessario inventare una nuova forma di lealtà e di appartenenza, costruita su diversi livelli, che vada dal regionale al nazionale al sovranazionale garantendo autonomie e rappresentatività di diversa scala. Solo in questo modo si neutralizzerà il leghismo internazionale che si traveste da movimento libertario per spacciare populismo. L’Europa ha la maturità politica e l’esperienza storica per compiere questo passo e mostrare al mondo una nuova via di statalità.
Diego Marani