Il Consiglio ha approvato delle regole minime di sui tirocini, perché siano formativi e non forme di sfruttamento. Ecco la storia del documento
Questa settimana il Consiglio Occupazione ha approvato la “Raccomandazione quadro di qualità per gli stage”, il testo che fissa alcune tutele minime per i tirocinanti così da garantire la validità dell’esperienza formativa (leggi le conclusioni del Consiglio). Forse non uno strumento rivoluzionario, ma nemmeno il nulla di fatto che si era temuto viste le moltissime remore degli Stati a un intervento europeo in materia.
E’ una storia lunga, che inizia nel 2008, e che rischiava di finire il 10 marzo, con un nulla di fatto.
E’ anche una bella storia di visione e determinazione di chi l’ha pensata e di chi poi l’ha sostenuta, che vale la pena di essere raccontata.
Tutto nasce nel 2008, quando un gruppo di giovani europei, prima ancora che la crisi esplodesse, si sono domandati “cosa mancava nelle politiche per i giovani e che cosa si doveva fare. Allora gli stages non erano un tema forte come lo sono adesso, ma intuimmo che era qualcosa che si sarebbe sviluppato, e che dunque andava governato, perché non prendesse derive negative”. Racconta Giuseppe Porcaro, Segretario generale dell’European Youth Forum (Yfj), la “base” a Bruxelles di 99 associazioni giovanili europee. Lui, Giuseppe, statutariamente è ormai un ex giovane, ha 35 anni e, secondo le regole del Forum (per gli incarichi politici, i dipendenti ovviamente restano fino a quando vogliono) è fuori, a maggio finisce il suo mandato e si sta cercando un lavoro nuovo. Di sicuro lo troverà, se parli di lui in giro ti dicono che dietro quegli occhiali enormi appesi su quel viso magro lassù in alto c’è “una delle persone più creative e determinate” che tu possa incontrare. Qualcuno lo vuole in politica, altri come inventore di eventi e campagne. Chissà.
Intanto si è battuto per tentare di portare a casa un risultato storico, che non lo soddisfa del tutto, ma che solo un mese fa sembrava quasi impossibile. “Nel 2008-2009 – continua, seduto dietro una minuscola scrivania di un ufficio a più piani che è uguale alla cameretta si una ragazzo disordinato (molto) ma vivace – decidemmo di lanciare il progetto dell’European Quality Charter on Internships and Apprenticeships (www.qualityinternships.eu) ma non da soli, coinvolgemmo tutte le altre parti interessate, i sindacati, altre associazioni di giovani e di studenti e in molti la fecero propria, e così iniziò questo cammino”. Non tutti però accolsero l’idea con favore, e tra i freddi in particolare ci fu BusinessEurope, l’associazione delle Confindustrie nazionali. “Si erano sempre rifiutati di accogliere un progetto del genere, prima dicendo che serviva una sede istituzionale, e poi quando questa è stata trovata, dicendo che l’Europa non è competente, che questa regolamentazione spetta agli Stati”, racconta Giuseppe.
Ma il documento oramai girava, tre pagine di testo per una “Raccomandazione” del Consiglio Europeo, neanche ad una direttiva che sarebbe legalmente
vincolante, ma un atto sostanzialmente politico. Quattro articoli per dire, in sostanza che: uno stage deve essere primariamente un’esperienza di apprendimento; che deve esserci un contratto scritto che vincoli le parti ai loro impegni; che se si svolge al di fuori di un percorso di studi formale deve avere qualche tutela in più (per evitare che si trasformi in una forma di lavoro nero in sostanza); e che abbia “una remunerazione decente che non sia inferiore al valore della soglia di povertà” (ma questo obbligo non è stato previsto nel testo finale). Richieste non impossibili insomma, e infatti alcune gradi società hanno colto subito il valore della cosa e Microsoft (non una piccola azienda insomma) fu la prima ad accogliere questo patto “e non solo ha firmato un accordo, ma ci sta anche aiutando a portarlo in altre aziende e con questo strumento stiamo anche cercando di scavare da dentro la roccia di BusinessEurope”. Altre associazioni invece lavorano sul progetto, come l’associazione delle Camere di Commercio europee e quella britannica in particolare.
“Strada facendo il progetto ha interessato anche i politici – racconta Giuseppe – e abbiamo raccolto una cinquantine di firme tra i membri del Parlamento europeo di ogni schieramento ed anche quella del presidente Martin Schulz”. A dicembre 2012 arriva il primo crisma di ufficialità: la Commissione europea, con il commissario al Lavoro Laszlo Andor, presenta un primo Draft per regolare gli stages che accoglie praticamente tutte le proposte della Carta lanciata dall’Yfj “e fa riferimento ai dati in essa contenuti, riconoscendo ancor di più la validità del nostro lavoro”, sottolinea con orgoglio Giuseppe.
Da qui entrò vin gioco Giorgio Zecca, policy coordinator dell’Yfj che ha seguito la concretizzazione progetto nella sua parte “operativa” e racconta che “dal gennaio 2013 si inizia il confronto con le parti sociali al quale però BusinessEurope non si presenta, perché diceva che la competenza è nazionale”. La cosa si arena ma Andor ci crede ancora, e caparbiamente ci lavora per tutto il 2013 fino ad arrivare ad una proposta formale nel dicembre scorso. “Il testo va bene – spiega Giorgio – cede solo sul punto della retribuzione”, forse lo si è pensato per trovare il favore degli industriali. Il nodo che è rimasto è proprio quello, a quanto dice qualcuno (non dell’Yfj) vicino al dossier. “A livello nazionale l’Italia, rappresentata in Consiglio da una decisa signora del ministero del Lavoro prestata alla Rappresentanza a Bruxelles, Tatiana Esposito, è stata fino alla fine (quando poi il documento è stato approvato da tutti meno la Gran Bretagna) l’unico Paese a favore, in parte appoggiata da Francia e Spagna”. Dall’altra parte c’erano cechi, svedesi e olandesi, che si portavano dietro altri 15 paesi che dicono ‘no’ ad una regolamentazione europea, per i motivi più diversi, spesso opposti. La Svezia ad esempio non voleva che fosse chiesto che il contratto sia scritto, perché da loro esistono forme contrattuali solo verbali.
Alla fine un’intesa, anche se non su tutto, però si è trovata. Forse è stato raccolto l’appello dell’Yfj che diceva ai governo: “Nonostante sia debole sulle retribuzioni e non sia una norma vincolante, approvate almeno la proposta della Commissione e date un segnale importante nei vostri paesi nell’anno delle elezioni europee”. In parte, è stato accolto.
Lorenzo Robustelli