Da tempo i ragazzi italiani si battevano per la “specificità nazionale” che non avrebbe reso utile lo strumento europeo se si fosse fermato a 25 anni
La “garanzia giovani” in Italia arriverà fino a 29 anni, non si fermerà a 25 come prevede la proposta europea. Lo ha deciso ieri il Consiglio dei ministri. “Allarghiamo la Garanzia giovani dalla fascia 18-25 anni fino a 29 anni”, ha annunciato il premier Matteo Renzi in conferenza stampa. “Speriamo che sia un vero impegno e che verrà mantenuto – gli hanno subito risposto i ragazzi di Giovani Bruxelles, un’associazione basata nella capitale d’Europa che si è battuta, forse per prima, per questa estensione -. Finalmente una proposta che considera gli over 25, era ora! È un ottimo risultato per la campagna #Garanziaover25”, cinguettano i ragazzi. Da arte sua la Commissione europea ha preso atto della decisione chiarendo che l’Italia ha facoltà di decidere in tal senso ma il dovere, a questo punto, di reperire soldi. “L’ammontare delle risorse comunitarie per l’Italia non cambia”, ha premesso Jonathan Todd, portavoce del commissario europeo per l’Occupazione e gli Affari sociali, Laszlo Andor, nel corso della conferenza stampa di mezzogiorno. “Se l’Italia ha altre risorse da mettere non c’è problema” ha aggiunto.
Ma non fare nulla costa di più che intervenire. Investire per aiutare i giovani ad orientarsi, o proprio ad entrare, nel mondo del lavoro è estremamente più vantaggioso che per le casse pubbliche rispetto al lasciarli a se stessi. Anche questo semplice calcolo è servito perché i capi di Stato e di governo dell’Unione europea il 22 aprile 2013 decidessero si lanciare la “Garanzia per i giovani” , un ambizioso piano, ben finanziato, che permette di garantire ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro (anche all’estero), proseguimento negli studi, apprendistato o tirocinio, o comunque una qualche forma di formazione molto mirata entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dalla fine degli studi.
L’idea arriva da un paese lontano, la Finlandia, dove un progetto molto simile era stato sviluppato in passato e si vide che fu in grado di garantire che, nel 2011, l’82,5% dei giovani in cerca di lavoro ricevessero un’offerta entro tre mesi dalla registrazione nelle liste di disoccupazione. Qualcosa di simile era stato fatto anche in Austria e dunque, in particolare su pressione dei governi di centrosinistra, si è deciso di tentare di portare l’esperimento sui scala europea. I conti fatti dalla Commissione sui costi sono questi: la Garanzia costerà (sommando gli interventi dell’Unione e degli Stati) circa 21 miliardi l’anno, pari allo 0,22% del Pil europeo. Non far niente sarebbe, stando a questi conti, una follia, perché costerebbe (sempre tra tutti) circa 153 miliardi l’anno, pari all’1,21% del Pil, tra azioni di sostegno e minori entrate fiscali.
Dunque si è deciso di affrontare la disoccupazione giovanile che dilaga in tutta Europa anche con un nuovo programma specifico. Si tratta di raggiungere i quasi sei milioni di ragazzi tra i 15 e i 24 anni che sono attualmente disoccupati . In Italia siamo a circa 650 mila, oltre il 10% del totale europeo. Bruxelles ci mette 6 miliardi, il resto tocca agli Stati, che, in alcuni casi, dice la Commissione “dovranno realizzare dei piani di riforma specifici” perché questo percorso possa funzionare.
Le cose si sono mosse in fretta, questa volta anche in Italia, benché ci siano comunque alcune difficoltà dal punto di vista della implementazione del piano. Lo scorso 15 gennaio la Commissione ha elargito i primi finanziamenti, e all’Italia sono toccati ben 530,18 milioni. Più di noi ha avuto solo la Spagna, con ben 881,44, e poi c’è la Francia, che di milioni ne ha strappati 289,76. Si è trattato della distribuzione tra i primi 20 Paesi, quelli che, avendo una disoccupazione giovanile del 25% in almeno una regione hanno diritto ad accedere ad un percorso accelerato sotto il progetto “Iniziativa per l’impiego dei giovani”. Per capirci, Germani, Austria, Finlandia, e altri otto sono fuori, perché lì le cose vanno meglio per i giovani.
La Garanzia piace a tutti, si è visto che ha funzionato e che può aiutare molti giovani ad avviarsi, concretamente, al mercato del lavoro. Ma in Italia c’erano due problemi, che sono specifici e che fino a ieri non avevano trovato soluzione: la fascia di età troppo stretta e un sistema burocratico che potrebbe essere il tallone d’Achille del progetto. Il gruppo di ragazzi di Giovani Italiani Bruxelles, quasi tutti gente già inserita nel mondo del lavoro, che praticamente dal giorno dopo quel 22 aprile si è battuta per la “specificità italiana”. Spiegano Francesca Romana Minniti e Daniel Puglisi che “la disoccupazione giovanile non si ferma a 25 anni, e i laureati italiani sono tra gli ultimi a compiere il passaggio dallo studio al lavoro in Europa. Per questo serve una garanzia over 25”. La scuola secondaria in Italia dura un anno di più, cosa che non crea problemi a chi ferma lì i suoi studi, poiché ci arriva ampiamente prima dei 25 anni, ma quelli che decidono di proseguire, se sono proprio veloci, si prendono la prima laurea a 22-23 anni, e la magistrale, o il master universitario oramai quasi indispensabili, portano via, sempre ai più rapidi, altri due anni. “Ecco che si arriva a 25 anni e si è appena laureati e già fuori dalla Garanzia”, spiegano Francesca e Daniel, che a questa battaglia che ora sembra vinta, con gli altri membri del gruppo, hanno dedicato grandi energie. Il rischio, prima della decisione del Consiglio dei ministri di ieri, era che, questo progetto non aiutasse coloro che potrebbero essere i lavoratori più qualificati, non fermandone dunque la fuga all’estero, in mancanza di programmi di aiuto specifici.
Se ne erano accorti anche gli europarlamentari europei italiani, di quasi tutti i gruppi, che decisero di sostenere l’appello #Garanziaover25. Ci sono Niccolò Rinaldi e Giommaria Uggias dell’Idv/Alde, Susy De Martini Fi/Edr; Francesca Barracciu, Rita Borsellino, Sergio Cofferati, Andrea Cozzolino, Francesco De Angelis, Vincenzo Iovine, Patrizia Toia del Pd/S&D; Lara Comi, Giuseppe Gargani, Barbara Matera, Aldo Patriciello. Oreste Rossi, Gino Trematerra, del gruppo popolare. “Il sostengo degli europarlamentari fu un buon segnale – dicono Francesca e Daniel – che ribadisce un appoggio trasversale nel cercare di adeguare questa misura, ma adesso tocca al governo nazionale agire”.
A dire il vero, pur con molte prudenze, anche il ministrod el Lavoro del governo Letta Enrico Giovannini lavorava all’allargamento: “questo nuovo approccio potrà essere esteso progressivamente a tutte le fasce d’età”, spiegava qualche mese fa.
Il ministero del Lavoro, che è il capofila di una struttura che coinvolge enti locali, centri per l’impiego, sindacati, datori di lavoro, firmerà ora o a già firmato dei protocolli con le Regioni, che dovranno operativamente gestire la Garanzia nel territorio, perché ci sia un minimo di coordinamento e omogeneità. Al ministero di via Flavia è stata anche creata una apposita Struttura di missione, che dovrebbe stimolare la gestione della Garanzia.
La sfida italiana è tutta sull’efficienza, anche perché in Italia, in realtà, non è che non esistesse nulla in questa chiave. Dal 2000 la legge 181 e la “Garanzia per i giovani” introdotta con un decreto legislativo nel 2002, già prevedono un sistema molto simile a questo disegnato dall’Ue, però ancora mancano alcuni strumenti per metterle in pratica e un coordinamento sull’efficacia di questi servizi. Forse, questa volta, potrà andar meglio? La Commissione europea darà una mano, poiché “fornirà il suo supporto e consiglierà” per la migliore attuazione dei piani, ma c’è c’è anche più urgenza.
Lor