Manifestazione della comunità belga e International Campaign for Tibet davanti a Commissione e Servizio esterno: “Rilanciare dialogo e mostrare più coraggio”
Tenere alta l’attenzione sulla questione tibetana e sul rispetto dei diritti umani in Tibet, facendoli diventare punti chiave dell’agenda comunitaria da qui in avanti. Il 2014 dovrà essere l’anno del Tibet: il nuovo Parlamento dovrà prendere una decisione chiara, e indurre la nuova Commissione a sfoderare quel coraggio finora mai mostrato con l’interlocutore cinese. Il popolo tibetano fa sentire la propria voce anche a Bruxelles, nel giorno in cui ricorre il 55esimo anniversario della rivolta che ha segnato l’inizio del movimento di resistenza tibetana in Cina e intorno al mondo. In molti paesi del mondo oggi, come ogni 10 marzo, tutte le comunità tibetane sfilano per le strade per ricordare una ferita mai rimarginata figlia di una questione ancora aperta. In Belgio, sede delle istituzioni comunitarie e di una delle comunità tibetane più numerose (circa 2.000 persone), la comunità tibetana in Belgio e International Campaign for Tibet (Ict) – la principale ong che promuove i diritti dei tibetani e membro della Federazione internazionale per i diritti dell’uomo – hanno chiesto di solleverare la questione tibetana già a partire da fine mese, in occasione della visita ufficiale a Bruxelles del presidente cinese Xi Jinping.
Bandiere di Belgio, Unione europea e Tibet hanno colorato la rotonda di piazza Schuman per richiamare l’attenzione di Commissione, Consiglio e Servizio esterno dell’Ue (l’unità diretta da Catherine Ashton). “Chiediamo all’Unione europea di sostenere il dialogo tra Cina e Tibet”, uno striscione esposto nella gremita piazza. “Nel 2014 il Tibet continua ad essere controllato dalla Cina, che non riconosce diritti economici, sociali e culturali”, denuncia Elena Gaita, responsabile rapporti con l’Ue di International Campaign for Tibet. “La comunità internazionale ha la responsabilità di non far cadere la questione tibetana nel silenzio”. Eppure a oggi di risultati concreti ne sono stati prodotto pochi. Per questo si chiede un cambio di marcia. “Siamo qui per chiedere che la questione tibetana sia messa al centro dell’agenda dell’Ue, soprattutto nei lavori del Servizio esterno”. In particolare, spiega a Eunews, andrebbe ripensato il dialogo annuale Ue-Cina sui diritti umani. “E’ stato inaugurato nel 1995, ma è carente”, lamenta Gaita. “Non ha portato a grandi risultati, anche perché l’Ue ha troppo timore di fare pressione sulla Cina”. La questione dei rapporti Ue-Cina è nota. La Commissione non vuole indispettire il partner asiatico, troppo forte dal punto di vista economico per potersi piegare a richieste che Pechino non può accettare. “Ma l’Ue è fondato sui valori di democrazia, rispetto diritti umani, rispetto di libertà fondamentali, dignità umana, rispetto delle minoranze e stato di diritto. Non può sacrificare tutto questo nel nome di accordi commerciali”.
Ma la questione è tutt’altro che semplice. La Cina non vuol sentire parlare di Tibet: per il governo centrale ha smesso di esistere nel 1965, quando il Tibet storico – racchiuso nelle tre regioni del Kham, Amdo e U-Tsang – è stato smembrato. Kham e Amdo sono divenuti parte delle province cinesi di Qinghai, Sichuan, Gansu e Yunnan, e il solo Tibet riconsciuto dalla Repubblica popolare cinese è lo Xizang, o regione autonoma tibetana (Tar), che comprende il territorio dello U-Tsang. Prima di questo intervento, le politiche della Cina di Mao imposero al Tibet limitazioni culturali, linguistiche, economiche e di culto. Invaso nel 1950, il Tibet si sollevò contro i maoisti il 10 marzo 1959 per reclamare indipendenza e libertà negate: la sollevazione finì repressa nel sangue, con il leader spirituale – il Dalai Lama – costretto a riparare in India, dove ancora vive esiliato.
Oggi però, il Tibet coltiva una nuova speranza: un nuovo riconoscimento e soprattutto una nuova attenzione internazionale. A Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, è in visita ufficiale il presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), Henri Malosse. “E’ la prima volta che il presidente di un’istituziona europea si reca in visita a Dharamsala”, rileva Elena Gaita. “Ci auguriamo che altri seguano il suo esempio”. In attesa che l’Europa vada a Dharamsala, International Campaign fot Tibet e la comunità tibetana in Belgio attendono che l’Ue, il 31 marzo, ricordi a Xi Jinping l’importanza di trovare una soluzione alla questione tibetana. Il presidente cinese sarà a Bruxelles in visita ufficiale, e in quell’occasione l’Ue dovrà mostrare quel coraggio mai mostrato finora. Per fare pressione sulla Commissione i tibetani contano sul Parlamento: ai candidati alle europee di maggio è stato chiesto un impegno – non solo elettorale – per la causa tibetana. Ai deputati che verranno si chiedono tre cose: lavorare per la ripresa del dialogo sino-tibetano, garantire ai tibetani in Cina l’accesso a educazione, sanità, occupazione, e affrontare il tema della violazione dei diritti umani. “Ci auguriamo di ricevere il maggior numero possibile di firme”, l’auspicio di Gaita e di tutti gli amici del Tibet. Questo darebbe più forza all’istituzione eletta dell’Ue. Le campagna per i candidati è disponbile on-line, sul sito www.2014fortibet.eu, che ricorda ai potenziali parlamentari europei che la questione tibetana è ancora aperta, e che è tempo di affrontarla. Dal 2009 a oggi, ricorda la responsabile rapporti con l’Ue di International Campaign for Tibet, si contano oltre 120 monaci tibetani che si son dati alla fiamme per protestare contro il regime di Pechino. “Sfortunatamente questi immolazioni sono diventate statistiche impersonali”. Ora l’Ue deve affrontare tutto questo. In fin dei conti “l’Ue ha un Nobel per la pace” e le responsabilità che ne conseguono.
Emanuele Bonini
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