Tutti a parole vogliono un mercato unico per ridurre i costi, ma nessuno poi sembra pronto a rinunciare ai propri interessi, che sono molto diversi tra loro
La parola d’ordine per tutti è “mercato unico dell’energia”, ma nei fatti si procede per ordine sparso. Interessi diversi e peculiarità nazionali fanno dell’Unione europea un cantiere aperto, di cui non si riesce a intravedere la fine dei lavori. La riunione del Consiglio Energia a Bruxelles mostra le diverse posizioni che animano l’Europa, con la crisi Ucraina sullo sfondo che preoccupa. La Polonia non fa nomi, ma i riferimenti sono chiari. “L’Ue dovrebbe agire contro le posizioni dominanti di Paesi esterni”, è la posizione del polacco Andrzej Dycha. Chiare le allusioni alla Russia e al suo colosso Gazprom, che alimenta di energia l’Unione. La Commissione però frena. “Una moratoria farebbe gli interessi di Putin”, taglia corto il commissario per l’Energia, Gunther Oettinger. Paesi Bassi, Finlandia e Svezia presentano allora un documento comune per chiedere una cabina di regia europea. Nel testo, messo agli atti, si chiede “una politica di coordinamento a livello europeo”, come spiegato dal ministro olandese Henk Kamp. Ad alcuni paesi – i tre firmatari del documento – non va giù che gli Stati membri bypassino le pratiche comunitarie. “Il problema della sicurezza dell’approvvigionamento va risolto a livello regionale, evitando meccanismi o soluzioni nazionali”. Un richiamo, quello di Kamp, a chi come l’Italia, che da sola vale circa un quarto delle vendite energetiche complessive russe nell’Ue, e che ha dunque tutto l’interesse a mantenere con Mosca un canale privilegiato.
Il viceministro allo Sviluppo economico con delega all’Energia, Claudio De Vincenti, ribadisce questa linea: per il nostro paese “è necessario costruire un equilibrio tra l’ambiziosa politica climatica e le esigenze competitive dell’industria europea”. L’industria europea è anche l’industria italiana, con le aziende ben note che l’Italia ha sul mercato, dentro e fuori l’Ue.
A pensarla come De Vincenti anche il ministro francese Philippe Martin. “Non sono d’accordo sul fatto che le politiche sociali siano più importanti di quelle energetiche”. La critica è contro quella parte della comunicazione della Commissione in cui si afferma che “è più efficiente proteggere i consumatori vulnerabili con misure di politica sociale (come trasferimenti fiscali) piuttosto che attraverso i prezzi dell’energia”.
La Germania, col suo ministro Sigmar Gabriel, prende spunto da questa riflessione per ricordare come il livello dei prezzi non si può abbassare. “È vero che i prezzi dell’energia in Europa sono più elevati che negli Stati Uniti, ma buona parte del prezzo finale prevede tasse e non penso che riusciremo a convincere i nostri ministri delle Finanze a rinunciare a queste tasse”. La soluzione per la riduzione dei prezzi non passa neanche per il pacchetto clima-energia, che “non diminuirà i costi”. La Germania boccia le politiche climatiche della Commissione, ma si associa a Paesi Bassi, Finlandia e Svezia nel sostenere che “c’è la necessità di un’integrazione del mercato energetico, il solo modo per controllare i prezzi all’ingrosso”.
Ancora diversa la posizione britannica, con il ministro Ed Davey che rilancia lo sfruttamento del gas di scisto. “Non tutti sono entusiasti, ma il suo sfruttamento significa meno dipendenza”. La proposta del Regno Unito è dunque “utilizzare le risorse indigene”, una linea sposata dalla Commissione Ue. “È una scelta difendibile anche dal punto di vista della protezione ambientale”, per il commissario responsabile per l’Energia, Gunther Oettinger.
Bruxelles per un giorno si specchia sulle sue divisioni, fisiologiche e naturali quando si è in ventotto, ma salta all’occhio una diversità che rischia di giocare contro l’Europa. Oettinger lo sa, e lo ricorda agli Stati membri. “Non voglio una ri-nazionalizzazione delle politiche energetiche, come mi pare di vedere oggi in alcune parti”. Ma se l’Europa non più aspettare per l’integrazione energetica, all’interno dell’Ue c’è chi non può aspettare che arrivi il mercato interno. “Noi importiamo combustibili e non abbiamo risorse di gas”, premette il cipriota Stelios Himonas. “Non possiamo permetterci di interrompere le nostre reti tradizionali per puntare sulle rinnovabili”. Dopo la Germania anche la piccola isola chiude le porte al pacchetto clima-energia. Fa parte del dibattito europeo, che in teoria dovrebbe chiudersi quest’anno. Il mercato unico dell’energia dovrebbe arrivare entro la fine del 2014. Europa e Russia permettendo.
Emanuele Bonini