La storia dell’Ucraina post “rivoluzionaria” è ancora tutta da scrivere. Mosca deve ancora reagire a quello che alcuni hanno definito una “liberazione”, ma altri un “colpo di stato”, gli stessi ucraini devono capire e decidere cosa fare del loro futuro. I russofoni sceglieranno la secessione? Chi saranno i leader politici protagonisti di questa nuova fase? Dove si troveranno i soldi per dare gambe a questa nuova fase?
In questo sarà interessante capire che ruolo riuscirà a giocare l’Unione europea. Ovviamente non può disinteressarsi al tema, deve cercare di avere un ruolo attivo e decisivo, un po’ per le responsabilità che si porta dietro, un po’ perché ha un reale interesse economico ad avere ottime relazioni con Kiev. Inoltre questa volta non potrà chiudere un occhio sul processo democratico, come fece quando giudicò trasparenti e leali le elezioni che portarono al potere Viktor Yanukovich. Indubbiamente, pure nella contraddizione che è nei fatti, Bruxelles ha segnato un punto a suo favore con la caduta e ancor più con la fuga del presidente. Che i cittadini abbiano potuto vedere il lusso volgare e sprezzante nel quale viveva, alle spalle di una popolazione troppo vicina alla povertà certamente avrà dato soddisfazione a molti.
Ora però è tutto da ricostruire, e non è detto che ripartire da Yulia Timoshenko sia la soluzione migliore. Il suo passato di imprenditrice e di politico non è cristallino, le sue relazioni con Mosca sono troppo cattive per un vicinato non conflittuale. E’ vero, è stata una “martire” del regime appena crollato, ma questo non è detto sia un titolo sufficiente per lavorare a una nuova Ucraina, meno corrotta, più aperta.
Bruxelles però ha qualcosa su cui costruire. Come sostiene Rosa Balfour, Direttore del programma di ricerca sulla politica estera all’European policy centre (Epc) “l’Unione portando i protagonisti alla firma del patto di venerdì scorso ha dimostrato che quando vuole riesce ad ottenere dei risultati, anche in politica estera”. In questa vicenda, nota la studiosa, ci sono aspetti non secondari da prendere in considerazione, come il fatto che la ricerca e poi la sigla di un accordo “hanno consolidato l’asse che si sta ricostruendo tra Francia e Germania”, e probabilmente, aggiungiamo noi su basi diverse da quelle quando all’Eliseo c’era Sarkozy, politicamente più vicino ma anche meno assertivo nei confronti di Merkel. Altro evento di rilievo, nota Balfour, “è che la Polonia si è staccata dalla Svezia, è andata da sola al confronto a Kiev senza portarsi dietro il suo storico partner di quando si affrontano questioni che toccano la Russia”.
Nella confusione e negli errori madornali che sono stati commessi in questo ultimo anno in Ucraina ci sono negli ultimi giorni anche dei segnali positivi, c’è stata una posizione unica europea in un passaggio di grande difficoltà, che poteva risolversi in un nuovo pasticcio. Ora invece c’è una linea,c’è un impegno a dare una mano segnato oggi dall’ennesimo viaggio a Kiev di Catherine Ashton per parlare “con tutti” ed aiutare a trovare, rapidamente, la strada della pacificazione e delle nuove elezioni. L’Unione, lo ribadiva ancora oggi il portavoce di turno della Commissione, vuole un’Ucraina “territorialmente integra”. Questa sembra la sfida più difficile, forse già persa. L’importante è che, se anche non lo si dice oggi perché non lo si può dire, lo si sappia, e non ci si trovi impreparati quando quel momento arriverà.