La nostra legislazione non ha recepito correttamente la direttiva comunitaria che imporrebbe limiti orari settimanali e momenti di riposo giornalieri
Italia di nuovo in fallo rispetto all’applicazione delle direttive europee. Nel nuovo pacchetto di infrazioni, presentato oggi dall’esecutivo Ue, ci sono altri due richiami al nostro Paese. In uno dei due casi, la Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia Ue per non avere applicato correttamente le disposizioni comunitarie relative all’orario di lavoro dei medici che lavorano nel servizio sanitario pubblico.
Attualmente, questi medici non hanno diritto a un limite orario settimanale e a periodi minimi di riposo giornaliero. Secondo l’attuale normativa italiana diversi diritti tutelati dalla direttiva in questione, come il limite di 48 ore per l’orario lavorativo settimanale medio e i periodi minimi giornalieri di riposo di 11 ore consecutive, non si applicano ai “dirigenti” operanti nel servizio sanitario nazionale. E, sempre secondo le norme italiane, i medici sono formalmente classificati quali “dirigenti”, senza necessariamente godere delle prerogative o dell’autonomia dirigenziali durante il loro orario di lavoro. La direttiva, invece, sottolinea la Commissione in una nota, non consente agli Stati membri di escludere “i dirigenti o le altre persone aventi potere di decisione autonomo” dal godimento di tali diritti.
Dopo aver ricevuto diverse denunce, la Commissione ha inviato nel maggio 2013 all’Italia un “parere motivato” in cui le chiedeva di adottare le misure necessarie per assicurare che la legislazione nazionale ottemperasse alla direttiva. Ma, evidentemente, questo non è bastato, e Bruxelles ha deciso di passare alla fase successiva della procedura d’infrazione, ricorrendo alla Corte di Giustizia.
Il nostro Paese è stato trovato carente anche sotto un altro versante. La Commissione chiede all’Italia di applicare appieno e correttamente la direttiva del Consiglio riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca. In Italia l’applicazione di questi requisiti dipende da circostanze come le caratteristiche del luogo di lavoro, l’attività o il rischio a bordo, mentre le prescrizioni elencate nella direttiva dovrebbero applicarsi in tutte le circostanze, nella misura in cui lo consentano le caratteristiche strutturali della nave da pesca. Quello dell’esecutivo Ue è per il momento un “parere motivato”. L’Italia ha ora due mesi di tempo per notificare alla Commissione le misure adottate per mettersi in regole e applicare appieno la direttiva Ue. Se non lo farà Bruxelles potrà deferire il nostro Paese alla Corte di giustizia Ue
Ad oggi l’Italia è, tra i Ventotto, lo Stato membro con il più alto numero di infrazioni a carico. Prima delle decisioni di oggi le procedure aperte erano già 119, di cui 81 riguardano casi di violazione del diritto dell’Unione e 38 il mancato recepimento di direttive.
L.P.