Quei morti sono anche colpa nostra. Della superficialità, dell’improvvisazione, della mancanza di coordinamento e di responsabilità ultima nell’Unione europea.
Si è deciso, anni fa, di stipulare un accordo commerciale bilaterale con l’Ucraina. Bene, buona idea. Ma qualcuno si è posto, prima di sei mesi fa, il problema della reazione di Mosca? Qualcuno si è posto il problema di come la popolazione avrebbe accolto questo avvicinamento all’Unione? La Polonia che ha sostenuto il raggiungimento di un accordo lo ha fatto? L’Italia che era dubbiosa ed ha lasciato fare, lo ha detto?
Ridicola e fuori dalla realtà appare ora la battaglia, condotta in primo luogo dal Partito popolare europeo, per la liberazione di Julija Tymošenko “altrimenti non si firma niente”, quando poi a non firmare sono stati gli ucraini. Segno che qui, nell’Europa occidentale, non si era capito niente di quanto avveniva. Solo pochi, pochissimi osservatori avevano il coraggio di dire, non ascoltati, che Mosca avrebbe fatto sentire tutto il suo peso, che si rischiava la dissoluzione del paese. I leader europei chiedevano che Tymošenko fosse liberata mentre covavano due incendi, uno appiccato da Mosca ed uno dai cittadini, dei quali nessuno si era accorto.
Se invece qualcuno sapeva del rischio allora è colpevole e criminale a non averlo denunciato. Se chi ha condotto le trattative ha taciuto sperando in cosa, in un “colpo di fortuna”?, è colpevole anche lui. Anche chi ha espresso solidarietà ai manifestanti, chi è sceso in piazza con loro rafforzandoli nella loro speranza di vittoria, senza che però ci fosse un piano nel quale far rientrare questo gesto, è anche lui, con il governo ucraino e, a sentire i testimoni locali, anche quello russo, colpevole delle morti di ieri e di oggi.
Chi ha deciso? Chi sta decidendo? Probabilmente nessuno, le cose vanno avanti per inerzia, con piccoli protagonismi e nessun coordinamento. Come europeo mi vergogno davanti ai manifestanti ucraini, foraggiati di illusioni che non siamo stati in grado di sostenere. Sulla loro pelle.
Lorenzo Robustelli