Secondo studio reggono solo i settori farmaceutico, high tech e dei beni di prima necessità
Romania, Polonia, Slovacchia e Paesi Baltici sono gli unici Paesi in cui c’è forte crescita
L’industria europea fatica molto a tornare ai livelli pre-crisi, e per questo “ha bisogno di un sostegno mirato per ritornare a crescere”. Sono le parole con cui il vicepresidente della Commissione, Antonio Tajani, ha commentato la presentazione della relazione “EU industrial structure report 2013: Competing in Global Value Chains” (Relazione 2013 sulla struttura industriale dell’UE: Competere nelle catene di valore globali) pubblicata dall’esecutivo di Bruxelles. Lo studio, che evidenzia differenze significative sia tra settori che tra Stati membri, mette in luce la tendenza discendente dell’industria manifatturiera, ma sottolinea anche le correlazioni reciprocamente vantaggiose tra questo settore e quello dei servizi nonché l’importanza delle catene di valore globali. Il settore dei servizi cresce infatti più celermente di quello manifatturiero: in media, tra il 2000 e il 2012, i servizi destinati alla vendita (quelli in genere forniti dal settore privato) sono cresciuti di 1,7 punti percentuali nell’Ue e corrispondono ora alla metà del Pil unionale. La quota dei servizi non destinati alla vendita (in generale forniti dal settore pubblico) è aumentata anch’essa, raggiungendo il 23% del Pil nel 2012.
“Questa relazione indica chiaramente che la crisi del 2008 ha portato ad un’accelerazione significativa del declino industriale in Europa” ha aggiunto Tajani secondo cui “l’Europa è ancora lontana dall’obiettivo del 20% di quota del Pil europeo prodotto dall’industria entro il 2020”. Secondo il commissario “per raggiungere questo obiettivo dobbiamo puntare sulla re-industrializzazione” e per farlo gli Stati membri devono “sostenere il nuovo pacchetto sull’industria nel Consiglio Competitività della settimana prossima”.
La relazione indica che dal 2001 l’industria manifatturiera è calata di altri 3 punti percentuali scendendo a circa il 15% del Pil nel 2012. Una forte ripresa contraddistingue solo la Romania, la Polonia, la Slovacchia e i Paesi Baltici che hanno recuperato e superato i picchi registrati prima della recessione. A resistere alla crisi i settori high tech, dei prodotti farmaceutici e delle merci di prima necessità come alimenti e bevande mentre i settori più colpiti sono le costruzioni e il minerario.
In generale gli investimenti esteri hanno subito un grave ridimensionamento: la crescita dei flussi commerciali globali è stata accompagnata da una crescita ancora più forte dei flussi globali di capitale, tra cui gli investimenti esteri diretti (IED) di cui ha bisogno l’industria dell’UE. Gli Stati membri dell’UE, considerati nel loro insieme, sono all’origine di una proporzione significativa dei flussi globali di IED (circa il 22% di quelli in entrata e il 30% in uscita), ma sia i flussi in entrata che quelli in uscita sono stati gravemente ridimensionati dalla crisi. Nel 2010 i flussi di IED in entrata erano circa un terzo di quelli del 2007, mentre i flussi in uscita si erano ridotti ancora di più.
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