La rappresentanza della Commissione europea a Roma ha promosso un confronto per capire come meglio spendere i Fondi strutturali
Quali sono le politiche da mettere in campo per aiutare l’economia? E’ una domanda centrale in un momento di crisi, e lo è ancora di più all’inizio del programma da 364 miliardi di euro dei Fondi strutturali europei 2014-2020. Con l’intento di rispondere a questa domanda, la Rappresentanza dell’Ue in Italia ha ospitato ieri, nella sua sede di via IV Novembre, il convegno L’industria italiana: le reazioni alla lunga crisi e le politiche pubbliche.
A fare gli onori di casa è stato il direttore della Rappresentanza Ue in Italia, Lucio Battistotti, il quale ha sottolineato la “centralità che la Commissione europea attribuisce alla competitività industriale” dei paesi dell’Unione. Battistotti ha richiamato l’attenzione sul documento Per una rinascita industriale europea, pubblicato dalla Commissione lo scorso gennaio. Per metterlo in pratica, secondo il direttore, “è fondamentale il coordinamento tra gli stati membri. Solo così sarà possibile creare un sistema industriale europeo che non sia un luogo di scontro tra i sistemi di ogni singolo stato”.
E’ pur vero però che ogni Paese ha le proprie peculiarità, la cui analisi è imprescindibile per realizzare interventi efficaci. A ricordarlo è stato Raffaele Brancati, presidente di Met (Monitoraggio economia e territorio), nel presentare alcuni dati dell’indagine 2013 realizzata dalla società di ricerche economiche. La fotografia del sistema industriale italiano scattata da Met mostra una situazione di complessiva sofferenza. “Tuttavia – ha precisato Brancati – è necessario andare oltre i dati aggregati per capire cosa si muove e come”. Così si vede che, a fronte di una maggioranza di aziende “tradizionali”, le quali continuano a patire la crisi con un atteggiamento di difesa passiva, c’è un crescente gruppo di aziende “dinamiche”, che hanno risposto alla congiuntura negativa conquistando i mercati esteri. Un elemento, quello dell’internazionalizzazione, che ha uno stretto legame con gli investimenti sulla ricerca. Infatti, proprio le imprese che puntano sulla ricerca riescono a penetrare meglio in nuovi mercati. E sono sempre queste aziende “dinamiche” a godere di maggior fiducia da parte del sistema creditizio. In questo quadro, il ruolo dello Stato appare carente. “Si fa assolutamente poco in termini di sostegno finanziario – è la denuncia di Brancati – e quasi nulla in termini di servizi di accompagnamento alle imprese”.
Un altro analista, Roberto Monducci dell’Istat, ha mostrato che le imprese italiane soffrono sia per il calo della domanda (44,7% del campione) che per la difficoltà di accesso al credito (44,1%). Ma l’aspetto forse più sconcertante dei dati Istat è il divario tra il fatturato interno e quello estero. Una situazione “che non ha riscontro in tutta Europa – ha sottolineato Monducci – perché 30 punti di differenza in tre anni tra mercato interno e mercato estero sono uno choc persistente che cambia la struttura industriale del Paese”.
Il presidente della commissione Industria commercio e turismo del Senato, Massimo Mucchetti, ha posto l’accento sulla necessità di politiche industriali integrate su più piani. Condizione essenziale perché risultino efficaci. Ne è un esempio la risposta di Barack Obama alla crisi dell’industria automobilistica statunitense. Non solo c’è stato “un intervento neo-roosveltiano” con finanziamenti di stato a Chrysler e General Motor, ma “senza il sostegno alle banche, le quali hanno continuato a sostenere i consumi delle famiglie, la ripresa dell’industria automobilistica non si sarebbe verificata”.
Il contributo del senatore Pd Paolo Guerrieri, professore di economia a La Sapienza di Roma, si è soffermato sulla necessità di attuare politiche industriali che premino il piano qualitativo. “Non tutta l’industria è sostenibile per un paese sviluppato come l’Italia – ha argomentato Guerrieri – perché c’è la Cina e gli altri paesi Bric contro cui non possiamo vincere se puntiamo su una industria a basso valore aggiunto”. Al contrario, “sostenere l’industria ad alto valore aggiunto” ha il vantaggio di “sviluppare anche una serie di servizi necessari a questo tipo di attività”, con la conseguenza che si creerebbero nuovi posti di lavoro. “E’ una scelta che la Germania ha fatto 10 anni fa e adesso ne raccoglie i frutti”.
In chiusura, il professor Fabrizio Onida, ordinario di Economia internazionale alla Bocconi di Milano, ha parlato di uno Stato-sostenitore delle imprese. “In un mondo in cui si affacciano nuove tecnologie in grado di rompere gli equilibri – secondo il professore – lo stato dovrebbe essere in grado di affiancare le imprese suggerendo i settori in cui si presentano maggiori opportunità, e accompagnando le aziende nella loro attività”.
Domenico Giovinazzo