Non cala la tensione dopo le manifestazioni contro povertà e corruzione. L’Alto rappresentante: “Non è la prima volta che i leader sentono un campanello d’allarme”
Una popolazione sfiancata da una disoccupazione che è arrivata al 44% e da difficoltà economiche che portano ormai un cittadino su cinque a vivere sotto la soglia di povertà. Al potere una classe politica accusata di essere corrotta e inefficiente, tanto da spingere il Paese all’immobilismo e da ostacolare le riforme e il cammino europeo del Paese. È questa la situazione in cui in Bosnia sono esplose le proteste popolari che da giorni non accennano a placarsi. Durante il fine settimana a Sarajevo e in altre città della Federazione croato-musulmana (una delle due entità da cui la Bosnia Erzegovina è formata) le manifestazini, nate dopo la chiusura di alcune grandi aziende a Tuzla, sono sfociate in violenze e hanno portato alle dimissioni dei capi di quattro amministrazioni locali.
Per tentare di calmare le tensioni, già definite come le peggiori nel Paese dalla guerra del 1992-1995, le autorità hanno offerto elezioni anticipate per “cambiare i governi in maniera democratica, nelle istituzioni”, come già proposto domenica dal Partito socialdemocratico (Sdp, al governo). Le elezioni erano comunque già previste per ottobre.
“Avete rubato per vent’anni, ora basta” e “Tribunali e polizia proteggono i banditi al potere” sono gli slogan più ricorrenti su cartelli e striscioni esposti dai manifestanti. “Chi semina la miseria, raccoglie la collera”, titolava oggi il quotidiano Oslobodjenje mentre un altro giornale, Dnevni Avaz, parla di uno “tsunami di cittadini.” In Bosnia la corruzione è ormai una piaga diffusa a tutti i livelli, soprattutto politico e, protesta la popolazione, mai realmente contrastata dai governi.
A contribuire anche il sistema di potere altamente decentralizzato stabilito dall’accordo di Dayton che nel 1995 mise fine alla guerra civile nell’ex Jugoslavia. L’accordo riconosce la presenza in Bosnia ed Erzegovina di due entità ben separate: la Federazione croato-musulmana che detiene il 51% del territorio bosniaco e la Repubblica Srpska. Le due entità sono dotate di poteri autonomi in vasti settori e hanno ciascuna un parlamento locale, ma sono inserite in una cornice statale unitaria. Un assetto che ha in più occasioni paralizzato l’azione di governo e contribuito alla difficile situazione economica.
Il tasso di disoccupazione in Bosnia, secondo l’agenzia nazionale di statistica, ha raggiunto il 44%, mentre la Banca centrale parla di una disoccupazione al 27,5%, perché considera anche le persone che lavorano in nero. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha accordato a settembre 2012 un prestito da 384 milioni di euro. La quinta tranche di questo prestito, da 48 milioni di euro, è stata recentemente approvata.
In tutto questo il processo di avvicinamento all’Ue della Bosnia-Erzegovina rimane “bloccato”, ha ammesso l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, intervenendo oggi a una riunione della commissione Esteri del parlamento europeo. “Condanniamo le violenze – ha detto Ashton – ma i leader bosniaci devono impegnarsi seriamente a far avanzare il Paese: l’Ue è impegnata a sostenere Sarajevo in questo processo”, ha detto la responsabile per la diplomazia Ue che potrebbe recarsi in missione nel Paese già la prossima settimana. “Non è la prima volta che i leader della Bosnia sentono un campanello d’allarme da parte della popolazione: le cose – ha aggiunto Ashton – non possono rimanere come sono ora”.
La situazione in Bosnia è stata discussa anche ieri dai ministri degli Esteri dei Ventotto, che hanno espresso “preoccupazione” per le recenti proteste e i casi di violenza. Il capo della diplomazia britannica, William Hague, ha sottolineato che le proteste in Bosnia-Erzegovina rappresentano “un campanello d’allarme per l’Unione europea e per la comunità internazionale”.
“Le proteste sfociate in violenza negli ultimi giorni a Sarajevo, Tuzla, Mostar e in altre città della Bosnia sono esemplificative della pesante situazione economica e sociale in Bosnia Erzegovina”, ha commentato il capo della missione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), Fletcher M. Burton, incoraggiando le autorità “ad ascoltare le richieste espresse in maniera legittima e pacifica per le riforme”.
Letizia Pascale
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